Cap.55
Un pugile editore
Tullio Pironti
Tullio Pironti scugnizzo, pugile, libraio, editore nasce a Napoli
nel 1937, ha iniziato l’attività editoriale nel 1972 con il
libro-reportage La lunga notte dei Fedayn scritto dal giornalista
Domenico Carratelli all’indomani della strage di atleti israeliani e
sequestratori palestinesi durante le Olimpiadi a Monaco di Baviera.I
suoi avi iniziarono l’attività libraria dopo la persecuzione subìta
nel regno borbonico da Michele Pironti, magistrato, imprigionato
insieme a Luigi Settembrini, Carlo Poerio e altri patrioti, che fu
poi ministro della Giustizia dopo l’Unità d’Italia.
Come editore ha collezionato grandi successi, dal Camorrista di
Giuseppe Marrazzo a Vatican Connection di Richard Hammer, a In nome
di Dio. La morte di Papa Luciani di David Yallop, e ha pubblicato,
spesso per primo in Italia, testi di scrittori come Don DeLillo,
Bret Easton Ellis, Anna Rice, Raymond Carver e il premio Nobel
egiziano Nagib Mahfuz.
Fra gli autori italiani l’editore Pironti annovera Giuseppe
Marrazzo, dal cui libro Il camorrista sul bandito Raffaele Cutolo (e
relative complicità) venne tratto un film di successo; e, più di
recente, Fernanda Pivano con Dopo Hemingway, serie di saggi sulla
letteratura nordamericana degli anni ruggenti per l’impegno
pacifista e libertario, accompagnata dalla biografia - anche per
immagini - della famosa scrittrice e traduttrice.
Il giornalista Carratelli ha curato l’autobiografia di Tullio
Pironti, Libri e cazzotti nella quale egli narra il percorso da
scugnizzo nato nel cuore antico di Napoli (via Tribunali) a pugile
(40 incontri, convocato nella Nazionale italiana Pugilato, pesi
Welter) e infine librario ed editore. È stato tradotto in America,
se ne farà un film.
Il suo secondo libro è Il paradiso al primo piano, con un attenzione
particolare alle donne, all’educazione sentimentale e allo
svezzamento sessuale riparte dal 18mo compleanno.
Tullio Pironti è piazza Dante, i vicoli dei Tribunali, Forcella, le
viscere della città borbonica. Faccia totemica come poche. Maglione
nero modello dolce vita e bavero alzato. Il naso è intatto. Le mani
escono dalla tasca del cappotto solo per l’essenziale, accendere una
Pall Mall, dare le carte a poker e tranciare l’esagerata pizza di
Esterina. Le usa anche, le mani, per mostrare come si proteggeva da
pugile negli anni ‘50. La destra sulla mascella destra, la sinistra
sul mento e la spalla a guardia della mascella sinistra. «Come una
testuggine», spiega furbo lo scugnizzo settantenne con la licenza
della terza media. «La mia boxe? Una sintesi di paura e talento».
Fifone con i guantoni, audace, quasi pazzo quando maneggia libri.
Scappava e colpiva da pugile. Da editore colpisce e basta. Incassa
comunque, che vinca o che perda, ma sempre per kappao. «Un grande
pugile mancato e un grande editore mancato», si definisce lui. La
sua autobiografia ora la traducono in America. «Libri e cazzotti»,
due generi in via di estinzione. Sono tanti i Pironti a Napoli e
vendono tutti libri. Tullio vive a piazza Dante, tra gli uffici
della casa editrice e la sua libreria, un’istituzione in città. Gli
piace raccontare storie. Uno che, come scrive Ermanno Rea, «terrebbe
sveglio anche un moribondo». Quando gli prende la malinconia va dal
suo amico, O’ Pacioccone, a Santa Lucia, e affitta una barca. «O’
Pacioccone è immenso. Appena mi vede mi chiede una sigaretta. Una
volta mi addormentai sulla barca e venne a stuzzicarmi con la punta
del remo. Pensava fossi morto. Il mare per me è come la musica. Mi
dà calma. Quando le cose mi girano storto vado in barca e la notte
ascolto i Pink Floyd, Another brick in the wall.
«Fare l’editore a Napoli è difficile, ed io, come tanti napoletani,
mi sono “inventato” questo mestiere, senza mezzi e senza progetti.
Sin dall’inizio la mia politica editoriale è stata caratterizzata
dalla pubblicazione di libri di denuncia e, successivamente,
scommettendo con me stesso, ho portato in Italia autori allora
sconosciuti ma entrati poi nei cataloghi dei grandi editori. Devo
riconoscere, comunque, che ho avuto la fortuna di conoscere persone
giuste che mi hanno dato consigli giusti».
Quando cominciò a fare l’editore era un momento in cui, oltre al
potere di Mondadori ed Einaudi, esisteva la grande realtà di Editori
Riuniti. A quell’epoca i giovani erano molto impegnati
politicamente. Poi d’un tratto il vento cambiò, le ideologie
iniziarono a tramontare, e fu anche l’inizio del ridimensionamento
di Editori Riuniti. A quel punto cominciò la scalata editoriale
dell’Adelphi. Dopo l’uscita di scena di Giulio Einaudi, che guidava
la più grande casa editrice italiana, il nostro orgoglio nazionale,
anche questa – come altre – iniziò a svolgere una politica
editoriale in cui l’aspetto commerciale cominciava a prevalere sui
contenuti culturali. Questo nuovo orientamento ha via via
caratterizzato quasi tutto il mondo dell’editoria.I rapporti con gli
scrittori e gli intellettuali napoletani «sono stati rapporti fatti
di incontri e scontri. In quello con Marcello d’Orta, ad esempio,
c’è un po’ di rammarico. Ricordo che mi spedì il suo primo
dattiloscritto, una descrizione di Napoli di appena trenta pagine.
Era un lavoro, a prima vista, inconsistente, e non gli diedi nessuna
risposta. Poco tempo dopo, lo stesso autore mandò un nuovo libro a
tutti gli editori napoletani tranne che a me – lui, che era un mio
ammiratore – perché ero stato così scortese da non rispondergli. Il
nuovo libro era “Io speriamo che me la cavo”, che ha venduto milioni
di copie ed è stato tradotto in circa venti Paesi. Quello con Peppe
Lanzetta, invece, è stato un incontro più fortunato, anche se non
fino in fondo. Pubblicai il suo primo libro, “Una vita postdatata”,
che ebbe grande riscontro di pubblico, ma poi l’autore decise di
“emigrare” da un grande editore, Feltrinelli. Voglio ricordare,
infine, la mia grande amicizia con Joe Marrazzo. È con lui che è
nata la mia casa editrice. Buona parte di quello che ho fatto, la
devo a lui. Nel mio lavoro editoriale non ho mai perso di vista la
mia città. Sognavo di dare a Napoli una casa editrice di importanza
nazionale, ma realizzare questo progetto da solo era troppo
difficile. Forse le istituzioni avrebbero potuto aiutarmi – sia dal
punto di vista materiale che morale – come è stato fatto per la
Sellerio dalla Regione Sicilia. Ma i rappresentati delle istituzioni
napoletane forse nemmeno conoscevano autori come Raymond Carver,
Naghib Mahfuz, Bret Easton Ellis, Philippe Sollers, Edmond Jabès:
scrittori che per primo, con tanti sforzi, sono riuscito a portare
in Italia».
Nella copertina di “Libri e cazzotti” c’è il boxeur non
l’editore.«Avevo una paura tremenda ma ho fatto il pugile per
sentirmi protagonista. Funzionava con le donne. Era l’epoca dei
Tiberio Mitri e dei Marcel Cerdan, il bombardiere di Casablanca,
amante della Piaf. Ricordo il ritiro collegiale di Porto Recanati,
le donne ci aspettavano a frotte. Schivare e rientrare era la nostra
boxe. Benvenuti faceva un passo indietro uno avanti, io quattro
indietro e uno avanti. Quando smise, Nino venne a trovarmi a Napoli.
Vendeva enciclopedie a rate. Un giorno mi scontrai con uno zingaro
si chiamava Tongo Troianovic. Era una montagna. Mi nutrivano con
latte e carne di cavallo, niente sesso per mesi. Il ring era a Capua
nel loro campo profughi. Un inferno. Avevo una tale paura che lo
colpii con una violenza inaudita, indietreggiando. Poi lui morì in
una rapina a New York. Quando salivo sulle navi americane ci
spruzzavano di ddt prima di combattere con i loro soldati.
Scendevamo con le tasche piene di whisky, sigarette e cioccolata».
«Federico Fellini voleva pubblicare i suoi ritratti di donne nude,
mi ricevette a casa sua. Gli brillavano gli occhi ma poi non se ne
fece più nulla. Seppi che fu Giulietta Masina a mettersi di
traverso. In quell’album c’erano tutte le donne che Fellini aveva
desiderato e amato, tutte tranne che lei».
«Il mio secondo libro autobiografico si chiamerà “Il paradiso al
primo piano”, un verso tratto da “Via del campo” di Fabrizio De
Andrè. Le prime pagine sono ambientate al “Gianna”, il bordello di
Mezzocannone dove andai la prima volta. Incontrai tutti i professori
universitari di Napoli».
« Per i piccoli editori non vi è futuro, in Italia si pubblica
troppo, ma io non mollo, non so fino a quando, mio padre ha vissuto
102 anni. Ma lui non beveva, non fumava e fotteva. Io sono
l’opposto, bevo, fumo e non fotto».
Ripetute volte ho incontrato Tullio Pironti, in veste di acquirente
nella sua libreria. Invece come editore lo incontrai la prima volta
per pubblicare il mio repertorio di 2000 foto a colori sui pittori
del Seicento napoletano in una spettacolare veste tipografica,
simile a quella di una precedente analoga opera sull’Ottocento. Era
necessario uno sponsor ed era pronto il Banco di Napoli, grazie
all’interessamento del Presidente Pepe, assiduo frequentatore delle
mie visite guidate, che aveva assicurato l’acquisto di 300 copie per
farne omaggio alla clientela pregiata dell’Istituto. Purtroppo
vicissitudini giudiziarie del professore Pepe mandarono a monte
l’operazione che conclusi con un editore minore ed una veste più
modesta. Altre due occasioni mancate furono quando Pironti pubblicò
“L’elogio del culo” di Tinto Brass, pur apprezzando il mio “Elogio
del sedere femminile” seguito dal reiterato”Panegirico del
posteriore muliebre”. E’ quando pubblicò “Munnezopoli” di Paolo
Chiariello, al posto del mio “Monnezza, viaggio nella spazzatura
Campana”, edito dal Brigante.
Infine, il più madornale, paradigmatico di come gli editori, anche
in presenza di un libro di potenziale successo, ragionando da
tipografi, chiedendo all’autore un ingiustificato contributo spese,
come avvenne nel 2008, quando gli proposi il mio “Tribolazioni di un
innocente”, ancora inedito che in rete ha avuto 70000 lettori.
Oggi l’editoria mondiale attraversa una crisi profonda per il
diffondersi di E-Book e della stampa digitale. Sono curioso di
vedere come se la caverà il vecchio (nel senso di esperto) Tullio
Pironti.
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