Cap.12
Il presidente degli scudetti
Corrado Ferlaino
Corrado Ferlaino, nato a Cosenza nel 1931, ingegnere, imprenditore,
è famoso per aver ricoperto per anni la carica di presidente del
Napoli e, soprattutto, per avere portato all’ombra del Vesuvio due
scudetti.
Nipote del magistrato Francesco Ferlaino, ucciso dalla ‘ndrangheta a
Lamezia Terme nel 1975, separato, cinque figli, vive in una
splendida dimora all’inizio di via Tasso.
Appassionato di automobilismo, alla guida di una Ferrari GTO, ha
preso parte a quattro edizioni della Targa Florio. Il suo miglior
piazzamento è stato un quinto posto nel 1964, in coppia con
Taramazzo.
Durante la sua gestione, protrattasi con brevi intervalli fino al
2000, il Napoli ha militato sempre nella massima serie, raggiungendo
il massimo fulgore negli anni Ottanta in corrispondenza della
presenza in maglia azzurra di Diego Armando Maradona, vincendo due
scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia ed una Supercoppa
italiana; precedentemente, sempre con la gestione Ferlaino, la
squadra azzurra aveva vinto, nel 1976, una Coppa Italia ed una Coppa
di Lega Italo-Inglese.
Fin dall’inizio della sua presidenza, Ferlaino è stato legato alla
tifoseria da un rapporto di odio-amore. Era capace di far quadrare i
bilanci societari privandosi dei giocatori più amati dai tifosi (un
esempio su tutti quello del portiere Dino Zoff), ma capace anche di
acquisti importanti come Giuseppe Savoldi, Ruud Krol e del già
citato Maradona.
L’avventura calcistica di Corrado Ferlaino inizia nel 1967, quando
l’allora presidente, Roberto Fiore, che aveva sollevato l’entusiasmo
dei tifosi con l’acquisto di Sivori e Altafini, gli cede una piccola
quota azionaria. Nella contesa tra Fiore ed il presidente onorario
Achille Lauro, Ferlaino si schiera dalla parte del Comandante, che
lo fa eleggere presidente il 18 gennaio 1969: Fiore, amareggiato, lo
accusa di essere traditore e bugiardo.
La prima stagione della gestione Ferlaino si conclude con un sesto
posto.
Il suo arrivo all’Hotel Gallia di Milano, sede del calcio mercato, è
al centro dell’attenzione. Scortato da una mezza dozzina di persone,
affitta una lussuosa suite per due settimane, offre pranzi e cene,
vola ogni giorno da Milano a Napoli e viceversa per seguire i suoi
affari d’imprenditore.
Anche per questo modo di fare, teso anche a stupire e ad essere al
centro dell’attenzione, non è amato dagli imprenditori calcistici.
Lo scomparso Bruno Passalacqua gli dà pubblicamente del buffone dopo
il fallimento della trattativa per il passaggio di Juliano dal
Napoli al Milan.
Anche uno tra i più spregiudicati presidenti, Giusy Farina, ex
numero uno di Vicenza e Milan, lo guarda con sospetto dichiarando:
“Quando tratto con lui, sto sempre con le spalle appoggiate al muro.
Non si sa mai “.
Per fare soldi e costruire uno stadio di proprietà della squadra,
l’ingegnere-imprenditore teorizza l’azionariato popolare ma tra
tutti i suoi sogni riesce a realizzare solo la creazione di un
settore giovanile, vero e proprio vivaio costituito da giovani
talenti scoperti da osservatori inviati sui campetti di periferia.
I primi anni della presidenza Ferlaino vedono un alternarsi di
allenatori di prestigio come Chiappella e Pesaola, licenziati e
richiamati più volte sulla panchina della squadra. Ad alcuni
acquisti importanti, come quello del centravanti Sergio Clerici, si
affiancano la scoperta di un giovane talento napoletano, Gianni
Improta, e cessioni altrettanto importanti e dolorose come quella
del portiere Dino Zoff, idolo delle folle, ceduto alla Juventus. Gli
scontri, più o meno velati, tra Ferlaino, Lauro e Fiore, portano la
società ad una spiacevole situazione di insicurezza che culmina con
la protesta di gran parte dei tifosi che, dopo l’uscita di scena del
portierone Zoff, scelgono di non rinnovare l’abbonamento al Calcio
Napoli, non riponendo molta fiducia nella nuova squadra costruita
dal presidente (la stagione 1972-1973 ha solo 37.000 abbonamenti,
misera cosa per lo stadio San Paolo che si vanta di contenere più di
80.000 spettatori): la sconfitta in Coppa Italia, in casa, contro il
Sorrento di Achille Lauro, rappresenta una delle pagine più tristi
per Ferlaino e tutta la tifoseria azzurra.
Nel Sorrento gioca Beppe Bruscolotti, che mette in ombra il grande
Josè Altafini, marcandolo ad uomo: l’anno dopo, neo acquisto del
Napoli, inizia una prestigiosa carriera che lo porterà ad essere il
vero punto di riferimento dell’intera squadra, nonché capitano della
stessa per molti anni.
Adducendo motivi familiari e di lavoro, Ferlaino si trasferisce per
qualche tempo in Australia, affidando la squadra al ragionier Sacchi
per l’amministrazione. La squadra comincia ad agitarsi per gli
stipendi pagati in ritardo: Sacchi vuole andarsene ed anche il
consiglio d’amministrazione ha la stessa intenzione. Sul proscenio
si ripresenta Roberto Fiore, intenzionato a riprendersi la
presidenza. Si arriva ad un accordo tra Ferlaino, che resta
presidente, ed il ragionier Sacchi. Il Napoli finisce con un
deludente nono posto in campionato. Ferlaino intuisce che bisogna
cambiare tutto, mentalità e gioco. Licenzia Chiappella e chiama
Louis Vinicio, ‘o lione, che a Brindisi ha dato buona prova di sé
come allenatore. Nella stagione 1972/73 nasce anche il Commando
Ultras che ha il suo capo tifoso in Gennaro Montuori, soprannominato
“Palummella” per l’abilità di saltare da un gradone all’altro della
curva per dare il comando ed i tempi del tifo. L’acquisto del bomber
Clerici e lo schema spumeggiante voluto dal nuovo allenatore, fanno
volare la squadra al primo posto dopo sei giornate ma le speranze
iniziali s’infrangono dopo alcune sfide dirette per concludersi con
un dignitoso terzo posto.
Dopo Clerici, sono i gol di Beppe Savoldi a far sognare i tifosi:
anche stavolta, dopo poche giornate, il Napoli è capolista ma le
sconfitte consecutive con Inter e Juventus frenano le aspettative
della squadra. Presidente ed allenatore non vanno più d’accordo:
Vinicio rinuncia alla panchina quando ci sono ancora due finali di
Coppa Italia da disputare. Ciò nonostante, la squadra, guidata
dall’allenatore in seconda Del Frati e dall’allenatore della squadra
Primavera, Rivellino, riesce a vincere la seconda Coppa Italia dopo
quella conquistata nel 1962.
La stagione seguente il nuovo allenatore è Bruno Pesaola, altro
amato ex giocatore azzurro, amico di tutti, ma bisogna attendere il
1987 per vedere realizzata la promessa che Ferlaino ha fatto a tutti
i napoletani nel momento in cui è diventato presidente della
squadra: portare lo scudetto a Napoli.
L’ingegnere-tifoso si vanta di aver sempre evitato la retrocessione
e si considera l’”ultimo dei Borboni” ed è davvero osannato come un
re quando l’abilità di Antonio Juliano, che ha militato nel Napoli
ai tempi di Sivori e Altafini, diventato dirigente della squadra,
riesce a portare a Napoli il fuoriclasse argentino Diego Armando
Maradona, il “pibe de oro”, strappandolo al Barcellona.
Dopo un altro scudetto arrivato tre stagioni dopo, la retrocessione
della squadra in serie B, nel 1998, rompe definitivamente il feeling
tra Ferlaino ed i tifosi: alcune frange estremiste minacciano di
morte il presidente che denuncia un paio di attentati dinamitardi
alla sua residenza napoletana.
All’inizio degli anni duemila, dopo una co-gestione societaria con
Giorgio Corbelli, Ferlaino ha ceduto il Calcio Napoli
all’imprenditore alberghiero Salvatore Naldi, uscendo
definitivamente dal mondo del calcio (se si esclude una breve
parentesi come presidente del Ravenna): da allora, si è dedicato
alla ristrutturazione di antiche ville nella zona di Ercolano.
In una recente dichiarazione alla stampa, Corrado Ferlaino, con
alcune affermazioni che hanno suscitato molte polemiche, ha svelato
alcuni trucchi da presidente e le manovre di Maradona per sfuggire
ai controlli antidoping.
Nell’intervista l’ingegnere afferma: “Maradona mi attacca sempre, mi
ritiene un nemico ma l’ho salvato decine di volte. Dalla domenica
sera al mercoledì Diego era libero di fare quel che voleva, ma il
giovedì doveva essere pulito. Moggi, Carmando e il medico sociale
chiedevano ai giocatori se erano a posto. Io non sapevo cosa
accadeva ma qualche anno dopo ho scoperto che, se qualcuno era a
rischio, gli si dava una pompetta contenente l’urina di un altro;
lui se la nascondeva nel pantalone della tuta e nella stanza
dell’antidoping, invece di fare il suo “bisognino”, versava nel
contenitore delle analisi l’urina “pulita” del compagno. Nonostante
questo, Diego, quel giorno del 1991, fu trovato positivo.
Moggi - continua Ferlaino riferendosi all’allora manager del Napoli
- aveva chiesto a Maradona se era in condizione e lui rispose: sì,
lo sono, va tutto bene. Il fatto è che i cocainomani mentono a se
stessi. Risultò positivo e quando l’allora presidente federale
Nizzola mi chiamò in via confidenziale per darmi la notizia, fu
troppo tardi. Insistetti, gli dissi: presidente, dimmi cosa posso
fare, ma lui rispose: ormai non puoi fare più nulla>>.
Sul sistema in vigore oggi afferma: “Non si può andare in tuta a
fare i controlli, bisogna essere nudi, quindi il trucco della
pompetta è irrealizzabile. Adesso c’è una lista con dei numeri,
ognuno corrisponde a un calciatore, un medico preposto li estrae a
sorte. Ma non è difficile trovare medici amici. Per cui basta
toccare con le mani inumidite dalla saliva i numeri dei giocatori
sicuramente puliti, così i numeri diventano più luccicanti e quando
si estrae si sa come scegliere. Una specie di sorteggio pilotato”.
Altre rivelazioni riguardano il secondo scudetto vinto dal Napoli
nel 1990: “Allacciai buoni rapporti con il designatore Gussoni. Il
Milan aveva un arbitro molto amico, Lanese, a noi invece era vicino
Rosario Lo Bello, che era un meridionalista convinto. Il campionato
si decise il 22 aprile: il Milan giocava a Verona, Gussoni designò
Lo Bello per quella partita; successe di tutto, espulsioni,
milanisti arrabbiati che scaraventarono le magliette a terra:
persero 2-1. Noi vincemmo serenamente a Bologna per 4-2 e mettemmo
in tasca tre quarti di scudetto”. E la famosa monetina di Alemao a
Bergamo? “Fu colpito – spiega l’ingegnere – forse ingigantimmo
l’episodio ma la partita comunque era già vinta a tavolino. Facemmo
un po’ di scena. L’idea fu del massaggiatore Carmando. Alemao
all’inizio non capì, lo portammo di corsa all’ospedale, gli feci
visita e quando uscii dichiarai addolorato ai giornalisti: “Non mi
ha riconosciuto”. Subito dopo scoppiai a ridere da solo, perché
Alemao era bello e vigile nel suo lettino”.
Negli anni Novanta, Ferlaino è stato coinvolto in diverse inchieste
su appalti e tangenti avviate dalla Procura di Napoli per i lavori
nell’ambito delle opere per i Mondiali ‘90 e per la ricostruzione
post terremoto del 1980: tali vicende si sono concluse per
prescrizione dei reati ma la storia delle tangenti gli ha procurato
qualche giorno di arresti domiciliari.
Attualmente, è indagato, sempre dalla stessa Procura della
Repubblica, per una presunta evasione fiscale da 30 milioni di euro
attraverso la costituzione di società off-shore in Lussemburgo,
Inghilterra, Svizzera ed alcuni paesi dell’America Latina.
Vorrei concludere ricordando i numerosi incontri che ho avuto con
lui in occasione del mio libro Achille Lauro Superstar, un
personaggio verso cui aveva una stima sconfinante nella venerazione,
e l’appoggio che mi ha dato in occasione delle mie numerose
presentazioni della biografia del Comandante.
|