Cap.49
Un cacciatore di geni
Andrea Ballabio
Il protagonista di questa biografia si autodefinisce un “cacciatore
di geni”, ma non si tratta di uno dei freddi cacciatori di teste, di
moda negli Stati Uniti, costantemente alla ricerca dei migliori
manager, cui offrire lauti compensi, pur di strapparli alla
concorrenza bensì di un illustre scienziato, che tutto il mondo ci
invidia, il quale ama indagare tra i nostri cromosomi, alla ricerca
di geni difettosi, responsabili di numerose malattie.
Egli è uno dei pochi studiosi emigrati all’estero, per approfondire
le proprie ricerche in laboratori qualificati, il quale, pur avendo
negli Stati Uniti la prospettiva di una carriera prestigiosa, ha
preferito ritornare nella città natale per approfondire i suoi
esperimenti di genetica e dirimere il rapporto tra ereditarietà e
malattie.
Andrea Ballabio si laurea e si specializza in pediatria, ma
rapidamente si rende conto di un’attrazione fatale verso la genetica
per scoprire l’origine di tutte quelle malattie congenite, che
rappresentano ai suoi occhi una sorta di maledizione biblica, che
decide in anticipo il nostro destino.
Poi, il primo di quegli incontri importanti, capaci di indirizzare
la vita.
Tre donne segnano, come bussole, la carriera scientifica di Andrea
Ballabio.
La prima, Graziella Persico, una geniale ricercatrice ritornata a
Napoli dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti, introduce
Ballabio nell’Istituto di Genetica Biofisica. Da qui, poco dopo,
Andrea si reca in Gran Bretagna e poi ad Houston, dove il direttore
Thomas Caskey, dopo averne ascoltato una relazione, gli propone di
entrare nel suo staff.
Due anni di duro lavoro ed arriva la nomina di capogruppo, prima con
tre assistenti, che diventano in poco tempo 15, con possibilità di
attingere autonomamente ai fondi e gestire una ricerca su un
obiettivo da lui scelto.
Siamo nel 1991 e Ballabio si trasferisce con la famiglia nel Texas,
deciso a rimanere per sempre, o quanto meno a lungo, nel paradiso
della ricerca scientifica, dove, per attingere ai finanziamenti,
vige la più rigida meritocrazia.
Il nostro sarebbe rimasto per sempre all’estero se sulla sua strada
non si fosse di nuovo presentata una donna, e che donna, una figura
fuori dal mondo della ricerca ma animata da nobili ideali tanto da
aver fondato Telethon con lo scopo di finanziare i centri
scientifici in grado di combattere malattie gravi, anche se rare:
Susanna Agnelli.
Una semplice telefonata, ma estremamente convincente, e Ballabio
lascia Houston e ritorna in Italia, dove diviene direttore del
Tigem, con sede prima a Milano presso il San Raffaele e poi presso
la sede del CNR di via Pietro Castellino a Napoli.
Siamo nel 2000 ed i primi risultati sono l’identificazione dei
meccanismi che permettono alle cellule di liberarsi delle scorie
metaboliche.
Comincia il futuro: in progressione geometrica, i gruppi di ricerca
diventano 12, i ricercatori 180, con un’età media di 33 anni e per
metà meridionali, mentre gli altri provengono da tutto il mondo:
inglesi, francesi, americani, cinesi, indiani.
Fra poco il Tigem si trasferirà a Pozzuoli negli spazi più ampi
della ex sede della Olivetti ed i ricercatori potranno così divenire
230.
I finanziamenti non provengono solo da Telethon ma soprattutto da
bandi internazionali che la Tigem si aggiudica, come ad esempio 22
milioni di dollari in 5 anni da parte di un’importante casa
farmaceutica italiana.
Ottimo è il rapporto con l’Università, con cattedratici in funzioni
apicali e 40 borse di studio per dottorandi.
L’attività è a Napoli ma lo sguardo è proteso verso il mondo, con
scambi fecondi di esperienze, come quando tre anni fa, un gruppo di
ricerca è stato ospitato al Texas Children Hospital di Houston.
Napoli non è solo spazzatura e camorra, ma anche ricerca scientifica
proiettata verso un futuro migliore per tutta l’umanità.
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