Cap.24
Il mitico sovrintendente
Raffaello Causa
Illustre studioso, mitico sovrintendente, instancabile organizzatore
di mostre leggendarie, Raffaello Causa ha rappresentato per Napoli e
per le arti figurative meridionali un prodigioso propellente in
grado di portare in giro per il mondo il lato positivo della città.
La sovrintendenza alle Belle Arti di Capodimonte negli ultimi
cinquanta anni ha costituito un’isola felice, abitata da insoliti
titani.
Prima Bruno Molajoli gestì i difficili anni del dopo guerra,
salvando il patrimonio artistico dalla furia dei bombardamenti,
trasferendolo al sicuro e, cessate le ostilità, riaprendo a tempo di
record tutte le gallerie, dalla Nazionale ai Gerolamini, dalla
Floridiana a San Martino; quando le truppe di occupazione alleate…
strappavano senza ritegno le sete dei saloni di Palazzo Reale e
regalavano antiche poltrone alle sciagurate signorine dei vicoli off
limit dei quartieri spagnoli, in cambio del soddisfacimento delle
loro turpi pulsioni sessuali. Poi venne il ciclone Raffaello,
l’ideatore di mostre che hanno sbalordito il mondo, da Civiltà del
Settecento a La pittura da Caravaggio a Luca Giordano, tappe
incalzanti di un trionfo clamoroso dell’arte napoletana. E scomparso
prematuramente Causa, il testimone è stato degnamente ereditato da
Nicola Spinosa, che ha continuato, incrementandola, l’opera
meritoria del predecessore.
Nell’Annuario dei personaggi, pubblicato nel 1959 dalla Deperro,
Causa, nonostante la giovane età, trentacinque anni, già figura e
viene descritto come un uomo massiccio come una quercia, un metro e
ottanta per centotrenta chili, ma di vulnerabile sensibilità,
appassionato coltivatore di rose e ciclamini sulla splendida
terrazza del suo grande e severo appartamento nel museo di San
Martino. Barbetta risorgimentale, chioma folta, d’un nero che sta
già subendo travolgenti assalti.
Nato a Pozzuoli e presto trasferitosi ad Ottaviano. Appassionato di
cinematografo e con la televisione in gran disdegno per i programmi
televisivi idioti ed immaturi (già a quei tempi!).
E ad un programma televisivo risale l’unico mio contatto, anche se
virtuale, col Causa, avendo maturato la mia passione ed assidua
frequentazione per il mondo dell’arte solo in anni successivi alla
sua scomparsa. Ricordo nitidamente una trasmissione sull’aborto;
saranno stati gli anni Sessanta, quando l’argomento era tabù anche
solo a parlarne e Causa si incazzò terribilmente verso un
partecipante che difendeva la sacralità della vita. Rimasi stupito
da un personaggio privo di ipocrisia, che si inalberava in difesa
delle sue idee e distruggeva senza pietà l’interlocutore.
Nella vecchia biografia viene descritto come scrupoloso
investigatore del prossimo, alla ricerca di una sua eventuale
capacità iettatoria. Convinto che alcuni individui accumulino
serbatoi di malevolenza sradicabile si cautela con il più grasso e
meno letterario degli scongiuri, al quale, precorrendo le pubbliche
ostentazioni di Leone e Berlusconi, si abbandona spesso e
volentieri.
Questo lato ombroso della sua personalità si accoppierà
costantemente ad un carattere bizzoso e straripante, in grado di
intimorire qualsiasi contraddittore, ridotto al rispettoso silenzio
o alla balbuzie. Unica eccezione Ferdinando Bologna, con il quale,
in accesa quanto rispettosa competizione, percorse le tappe del
cursus honorum. Furono per trenta e più anni i numi tutelari degli
studi sulle arti figurative meridionali, felice connubio tra
amministrazione dello Stato ed università, a tal punto da essere
definiti, giustamente, i due Dioscuri.
Conseguita la libera docenza non volle intraprendere la carriera
universitaria e si dedicò a coltivare le sue passioni: la musica,
avendo tra i favoriti Brahms, Mahler, Strass e Wagner e la lettura
degli autori americani fatti conoscere da Vittorini e dei romanzieri
francesi, molti goduti in lingua originale.
Cominciò poi una peregrinazione tra i musei europei, che divennero
al suo occhio competente tante mostre da riordinare. Ed ai piccoli
musei rimase legato. Curò infatti il riordino del Correale di
Sorrento, uno scrigno prezioso poco conosciuto, allora come oggi,
che egli trasformò in uno dei più affascinanti musei privati
d’Europa, circondato da un lussureggiante giardino di arance e
limoni dal profumo devastante, con sale di esposizione affollate da
spettacolari nature morte e dove il tempo è scandito, ogni quarto
d’ora, da antichi quanto precisi orologi ottocenteschi.
Vi fu poi l’incontro con il gran maestro, il Longhi, che da Firenze
pontificava sull’arte europea ed aveva aperto quella leggendaria
palestra intellettuale costituita dalla rivista Paragone, della cui
redazione Causa farà parte assieme alla crema della intellighenzia
italiana: Arcangeli, Bologna, Briganti, Gregori, Toesca, Volpe e
Zeri.
Nel cenacolo, dominato dalla figura incontrastata del sovrano, si
parlava un linguaggio forbito, una vera e propria lingua con
desinenze particolari. A parte il lessico del Longhi, inimitabile,
si oscillava dal periodare del Briganti, che in età matura sarà la
stella di un grande quotidiano italiano, alla costruzione della
frase sontuosa e neo proustiana di Arcangeli.
Per definire la personalità di uno studioso è opportuno esaminare i
suoi scritti, tappe fondamentali per la conoscenza della pittura e
della scultura napoletana, che reclamano invano a gran voce una
ristampa per poter essere goduti dalle giovani generazioni di
studiosi.
Nel 1945, a ventidue anni, Causa discute, alla Normale di Pisa, una
tesi su Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, un artista al quale
rimarrà legato ed al quale dedicherà il suo primo articolo,
pubblicato nel 1946 sulla rivista Sagittario e con il cui pseudonimo
firmerà alcuni suoi dipinti giovanili e gli articoli di cultura
pubblicati per anni sul Roma.
A partire dal primo scritto si può osservare una scrupolosa cura del
dettato, una maniacale attenzione ad una prosa ricercata, ricca di
aggettivi, compiaciuta del riferimento colto e della frase ai limiti
della lirica. Nel tempo questa prosa spumeggiante diverrà pura
poesia ed alcuni suoi fondamentali contributi si leggono
ripetutamente anche per il sottile piacere di ascoltare un canto
melodioso ed un inno alla bellezza della pittura.
A voler ricordare solo le opere principali segnaliamo nel 1950, in
collaborazione con Bologna, il catalogo della mostra sulle sculture
lignee della Campania, nel 1954 un saggio sulla Madonna nella
pittura del 600’ a Napoli, nel 1956 la rivisitazione di Pitloo e
della scuola di Posillipo, nel 1957 una fondamentale rassegna della
pittura napoletana dal XV al XIX secolo, nel 1962 un’acuta
investigazione sulle tarsie cinquecentesche nella Certosa di San
Martino, nel 1970 un riordino del patrimonio artistico del Pio Monte
della Misericordia ed infine, nel 1972, il suo testamento
intellettuale: due corposi capitoli nella monumentale Storia di
Napoli, la pittura del 600’ a Napoli dal naturalismo al barocco e la
natura morta a Napoli nel sei e nel settecento. Due bussole
fondamentali per districarsi in un labirinto di nomi e di scuole da
leggersi con la deferenza di una bibbia.
Seguirà l’epoca delle mostre, nelle quali Causa accoppierà alla
veste di abile organizzatore, quella di colto e raffinato estensore
del catalogo ed il burbero sovrintendente raggiungerà l’apice della
fama.
Nel 1984 si apprestava a scrivere l’introduzione al ponderoso
repertorio delle opere del Banco di Napoli, al cui riordino aveva
atteso amorevolmente per lungo tempo. Sarebbe certamente stata, come
ogni suo scritto, una miniera di originali giudizi, intessuta di
frasi forbite e di impareggiabile dottrina, segno ineludibile di un
amore infinito verso l’arte e la cultura non solo napoletane,
quando, improvviso, un morbo implacabile lo strappò all’amore dei
suoi cari, orbando il mondo degli studiosi della possibilità di
confrontarsi con un simile contraddittore.
E’ morto l’ultimo viceré di Napoli titolarono i quotidiani e colsero
nel segno, perché con lui scomparve il più alacre ambasciatore della
cultura napoletana.
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