Cap.10
Un ingegnere filosofo
Luciano De Crescenzo
Luciano De Crescenzo vive da molti anni lontano da Napoli, però è
rimasto napoletanissimo nel cuore ed alla sua città natale sono
ispirate tutte le sue opere letterarie e cinematografiche, ma
soprattutto i suoi pensieri ed i suoi desideri.
Da quando risiede a Roma per motivi di lavoro, egli considera la
città eterna soltanto una periferia della sua amata Partenope, ove
corre non appena gli è possibile da sua figlia Paola, che si occupa
a Napoli di grafica pubblicitaria ed ha disegnato anche la copertina
dei suoi ultimi libri.
Il nostro amato concittadino ha il vezzo di nascondersi l’età,
probabilmente perché dimostra molti meno anni di quanti realmente ne
abbia. Sfoglieremo inutilmente il suo libro «Vita di Luciano De
Crescenzo scritta da lui medesimo» alla ricerca della sua data di
nascita.
In 250 pagine molto fitte sono raccontate decine di aneddoti, di
descrizioni, di confidenze, di meditazioni, ma di quel fatidico
giorno neanche l’ombra: un mistero impenetrabile.
Nella parte filosofica del libro, «Luciano», con un’immagine di rara
poesia, ci confida di sentirsi come un impiegato che ha avuto
quattro settimane di ferie e ne ha fatte già tre e mezzo.
Egli fantastica di stare seduto su di un corridoio di passaggio e di
gettare uno sguardo in due camere attigue una sulla destra più
grande piena di ricordi buttati alla rinfusa ed una sulla sinistra
avvolta nella penombra. Un grosso orologio che segna implacabile lo
scorrere del tempo che trasforma la grandezza delle due camere: la
destra che rappresenta il passato diventa sempre più grande e
affollata, la sinistra, il futuro, sempre più piccola ed ombrata.
Attraverso un televisore magico, giorno dopo giorno, tutta la vita
trascorsa può essere rivista come pure è possibile dare una
sbirciatina al futuro, ma bisogna stare attenti a non spingersi
troppo avanti nel tempo per non imbattersi in una data tremenda,
dopo la quale lo schermo non darebbe più immagini in movimento.
Secondo le nostre indagini anagrafiche egli nasce nella nostra città
nel 1928. Quasi 80 anni, anche se lo spirito è ancora quello di un
ragazzino birbante.
Ma cominciamo dal principio; Luciano nel 1928, come abbiamo
scoperto, nasce a Napoli e va a collocarsi subito in una famiglia
numerosa e rumorosa come quelle che andavano di moda una volta,
ricca di nonne, zii single, zie zitelle e numerose cameriere, alcune
in pianta stabile ed altre che cambiavano continuamente perché
sospettate di aver rubacchiato. Lo zio, di nome Luigi, detto «o
pallista» per le teorie che raccontava di continuo era il preferito
tra tutti i parenti (quarantadue tra primo e secondo grado) e le zie
Olimpia e Maria che erano state sfortunate con i mariti, per cui
erano diventate due zitelle di ritorno.
La madre era nata nella Duchesca nel 1883 ed a quarant’anni era
ancora zitella; la gente per strada la salutava con rispetto, poi
però le mormoravano dietro «Nisciuno ’a vuluta». Lei era già
rassegnata allo zitellaggio, quando grazie all’opera di «’onna
Amalia ’a Purpessa», di mestiere sensale di matrimonio, conobbe il
papà di Luciano un uomo dagli occhi azzurri, ma dai capelli tutti
bianchi tale da parere «’nu viecchio».
Il matrimonio combinato tra due persone così avanti negli anni
sembrava destinato soltanto a reciproca compagnia, ma i figli
arrivarono lo stesso, prima Clara e dopo cinque anni il sospirato
erede maschio: Luciano.Il padre era una specie di burbero benefico
che non aveva in alcuna simpatia le smancerie ed i vezzeggiamenti,
severo al pari dei padri dell’inizio del secolo.
Egli era proprietario di un negozio di guanti in piazza dei Martiri,
ma non possedeva l’animo del commerciante bensì dell’artista, come
era stato il nonno, che il pittore lo aveva fatto sul serio e con
ottimi risultati sul piano artistico sotto la guida di De Nittis.
Egli era un po’ preoccupato che avendo superato i 65 anni il figlio
ne avesse soltanto 15.
Quando dopo la guerra bisognò cominciare tutto daccapo egli esclamò:
«Il guaio è che io sono troppo vecchio per ricominciare e tu troppo
giovane per prendere il mio posto; forse avrei dovuto sposarmi
prima». E così dicendo, strinse la mano del figlio, e restarono in
silenzio per alcuni minuti.
Il primo incontro con l’erotismo avviene all’età di 10 anni, quando
Luciano frequentava la prima media all’Umberto I di via Carducci con
il ritrovamento in palestra di un preservativo, tra le urla e le
imprecazioni del professore Carosone, insegnante di ginnastica ed
amante delle parolacce che per lui, memore dell’etica fascista erano
indice di virilità.
E poi dopo aver appreso la parte meccanica del sesso, il primo
amore; anzi i primi, perché Luciano confessa candidamente di aver
avuto quattro primi amori uno per età: bambino, adolescente,
giovanotto ed infine adulto. E di essere ancora in attesa di quello
da vecchio.
Lilly, Gisella, Gilda e Irene le quattro fortunate mortali.
Con Gilda c’è stato di mezzo anche un matrimonio, durato alcuni
anni, una figlia, un annullamento da parte della Sacra Rota ed oggi
Luciano e Gilda sono come due vecchi amici, anzi anche qualche cosa
di più.
Vengono poi gli anni difficili della guerra, durante i quali
Luciano, con i suoi numerosi parenti e parte delle masserizie
familiari, è costretto a numerose peregrinazioni alla ricerca di una
località tranquilla ove «sfollare» ed alla fine la scelta cade su
Cassino, ritenuto un posto sicuro, il «ventre della vacca», dove
come tutti sanno infuriarono numerose battaglie con grande
accanimento da parte dei combattenti.
A Cassino la famiglia De Crescenzo si sistemò in una villetta,
ospite di alcune vecchie signore e visse tra mille peripezie per
alcuni mesi, fino a quando i tedeschi requisirono i locali da loro
abitati per trasformarli in un ospedale da campo e senza tanti
complimenti ne trasferirono gli occupanti in camion verso Roma,
all’epoca divenuta città aperta.
Nella capitale la famiglia trovò sistemazione presso l’Hotel Aosta,
grazie all’interessamento di un vecchio conoscente, l’avvocato
Percuoco.
Il nostro Luciano fondò con il cugino Gegé una piccola società di
compravendita di generi di borsa nera.
Le mercanzie più vendute erano sigarette comprate a San Lorenzo,
caciotte di Frascati, olio e sale di Marino.
Questi piccoli commerci permisero alla famiglia De Crescenzo di
andare ad abitare ai Parioli fino al 4 giugno, data fatidica in cui
sfilarono per le strade di Roma i soldati americani.
E finalmente giunse il giorno del grande ritorno a Napoli, in una
città in cui profonde ferite erano state inferte dai bombardamenti:
via Marina era stata rasa al suolo, i famosi vetri della galleria
giacevano a terra in frantumi.
Il bel palazzo dove abitava la famiglia De Crescenzo a Santa Lucia
aveva perso tutta la scala di marmo e le ringhiere in ferro battuto,
mentre il negozio in piazza dei Martiri era quasi scomparso per lo
scoppio di una bomba, che aveva colpito palazzo Partanna ed alcuni
guanti col loro marchio erano stati ritrovati nella villa comunale a
più di un chilometro di distanza. La casa di villeggiatura del
Vomero era stata requisita dagli inglesi che ancora la occupavano.
Ma poi tutto passa e si ritornò alla vita normale.
Nel 1960, Luciano, grazie alla raccomandazione del cavaliere De
Vico, un amico di famiglia, entra nella IBM, dove passerà poco meno
di venti anni, facendo carriera e giungendo fino alla carriera di
marketing manager, cioè vicedirettore. Il lavoro non soddisfaceva lo
spirito artistico e ribelle dell’ingegnere, il quale, covava
l’aspirazione di divenire scrittore ed uomo di spettacolo e non
vedeva l’ora di cambiare attività e divenire famoso.
Nel periodo in cui De Crescenzo pendolava ancora tra l’IBM ed il
mondo dello spettacolo, con sporadiche licenze straordinarie che gli
costavano ottantamila lire lorde di trattenute dallo stipendio di
ingegnere, ebbi modo di conoscerlo nelle vesti di presentatore della
trasmissione «Il Miliardo», programma prodotto negli studi
dell’emittente Telenapoli in via Crispi.
A presentarci fu un amico comune, il dott. Lucio Testa, da poco
divenuto regista della RAI, grazie alla raccomandazione del padre,
all’epoca un pezzo grosso della Criminalpol.
Io avevo da pochi mesi partecipato alla trasmissione «Rischiatutto»
di Mike Bongiorno e godevo ancora di una certa popolarità presso il
pubblico che, l’amico Lucio Testa, di intesa con Luciano De
Crescenzo, volevano sfruttare per la loro trasmissione a Telenapoli.
Ricordo un lungo pomeriggio di prove della puntata condotta da De
Crescenzo, che era un personaggio molto spontaneo ed affascinante.
La trasmissione registrata non andò però mai in onda per difficoltà
economiche dell’emittente, ma conservo un ricordo gradevole di
quella giornata trascorsa insieme fino alle otto di sera, ora in cui
Luciano si accomiatò da me e dal regista per terminare la serata con
una polacca bellissima, un’attricetta che aveva rimorchiato negli
studi di Telenapoli e che si riprometteva di «passare per le armi»;
cosa che mi risulta avvenne puntualmente, a prestare fede al
racconto che il mio amico Lucio, un «arrapato» di prima categoria,
mi fece il giorno seguente con dovizia di particolari.
Finalmente venne il momento in cui Luciano ebbe il coraggio di
lasciare l’IBM, tra la meraviglia di tutti i parenti, che lo
ritenevano uscito di senno, e di seguire la sua inclinazione
naturale verso il cinema, la televisione e l’attività di scrittore.
Del suo passato di ingegnere all’IBM gli restarono, oltre alla
liquidazione, quattro computer, per ricordo.
Diventa una fabbrica di best-seller, regista, attore. Il primo
successo in libreria è «Così parlò Bellavista», un caleidoscopio di
fatti e personaggi napoletani, che in seguito diventò un grosso film
di cassetta con le sue frasi divenute celebri: «Napoli è l’unica
speranza che il mondo abbia di sopravvivere. Però che traffico...».
Seguono poi altri libri di successo come «Zio cardellino», una
«Autobiografia», «La domenica del villaggio» e tutta la serie sulla
filosofia greca. Tra i film diretti, oltre ad un doppio Bellavista è
da ricordare «32 dicembre».
Negli ultimi anni gli esplode l’amore per la filosofia, una scienza
che oltre ad appassionarlo, contribuisce anche a cambiare il suo
modo di vivere.
Luciano è attratto dalla filosofia greca, sia perché da quella sono
nate tutte le altre, ma principalmente perché in essa vede
rappresentato il modo di vivere e di pensare del popolo napoletano.
Nelle regioni meridionali hanno a lungo soggiornato Pitagora e
Parmenide ed anche il grande Platone è stato nel nostro Sud per ben
tre volte ad imparare la filosofia della verità contro quella
deteriore delle opinioni. È solo da Napoli e dal Mezzogiorno che può
ricominciare una ripresa culturale italiana. Infatti la nostra città
rappresenta il più grande serbatoio umanistico del mondo.
Egli rimane colpito da alcuni personaggi singolari come il professor
Riganti, un vecchio saggio napoletano incontrato al circolo
Canottieri al Molosiglio, il quale con una serie di pacati
ragionamenti lo convince che è inutile correre dietro al denaro ed
al potere, perché essi non sono in grado di garantire né la
felicità, né tantomeno l’immortalità, per cui l’uomo saggio non solo
non li persegue, ma non li desidera e si allena a morire, come i
santoni indiani che hanno scoperto questo segreto già alcune
migliaia di anni fa.
È perciò cosa saggia abituarsi all’idea della morte per poi
sottovalutarne l’importanza, come se si trattasse di un semplice
sfratto di casa, con un po’ di nostalgia per ciò che si lascia e con
un pizzico di curiosità per quello che si andrà a conoscere.
Un altro personaggio originale che incoraggia Luciano sulla strada
della filosofia globale è il professor Barbieri, un signore molto
anziano che abita a Napoli nella zona di Piazza Mercato e che più
che un professore di lettere ama considerarsi un educatore globale.
Egli insinua nei suoi discepoli un insegnamento sottile quello del
«dubbio positivo».Per il prof. Barbieri, un vecchio che a saggezza
non sfigura nel confronto con i filosofi greci, il dubbio è una
divinità discreta che espone con calma le sue idee ed è pronta a
cambiarle radicalmente non appena qualcuno gli dimostra che sono
sbagliate.
Il dubbio è rappresentato dal punto interrogativo simbolo del Bene,
mentre quello esclamativo è simbolo del Male. I sacerdoti del dubbio
positivo sono quasi sempre brave persone, tolleranti, disponibili e
democratiche, mentre i paladini del punto esclamativo sono individui
violenti di cui avere paura.
A questa categoria di individui appartengono le persone più
disparate, dagli integralisti islamici, ai tifosi di calcio, dai
brigatisti rossi a quelli neri.
I libri della filosofia greca scritti da De Crescenzo, accolti con
la puzza sotto il naso dagli specialisti del settore, invidiosi
delle grosse tirature, hanno invece incontrato un grosso successo
presso i lettori, attratti dallo stile semplice ed accattivante.
Attraverso la loro lettura ci si accorge che il napoletano è figlio
e nipote della filosofia greca e degno rappresentante di essa nei
tempi moderni, mentre Luciano De Crescenzo con i suoi dubbi e le sue
certezze, ne è l’ultimo epigono ed il degno cantore.
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