Cap.8
Il segno di un’antica pietà nei cimiteri
La notizia trapelata di recente che anche Napoli si doterà di una
struttura per fornire a chi lo desidera la possibilità della
cremazione chiude un periodo e tristemente pone la nostra città,
legata da sempre al culto dei morti, in un panorama di
contemporaneità.
A Napoli esiste un circuito di cimiteri di eccezionale valore
storico ed artistico, che meriterebbe di essere conosciuto e
viceversa versa in uno stato di abbandono miserevole. Si tratta di
ben diciannove distinti luoghi demandati a tramandare ai posteri
l’amore verso i defunti ed una traccia di memoria del nostro
passato. Sono complessi grandiosi sorti tra il Settecento ed il
Novecento, dall’austero camposanto illuminista delle 366 fosse,
all’aristocratica struttura del monumentale di Poggioreale, con
l’annesso Nuovo, dall’antico cimitero di S. Maria del Pianto ai
numerosi campisanti periferici che servivano gli antichi casali,
oltre ad una variegata serie di spazi dedicati alle comunità
straniere, ai non cattolici ed alle vittime delle frequenti epidemie
di colera.
Nel 1806, quando venne esteso alla penisola italiana l’editto di
Saint Cloud, che prevedeva la localizzazione dei cimiteri fuori
dalle mura cittadine, la capitale del Regno delle due Sicilie ne
aveva già maturato lo spirito innovatore, sia riguardo all’igiene ed
alla salubrità dell’aria degli abitati, sia nel decentramento degli
insediamenti funerari. Infatti già nel 1779 la situazione era così
allarmante che, su incarico di Ferdinando IV, i medici della
Deputazione della salute giudicarono indispensabile vietare le
inumazioni all’interno delle chiese, come era avvenuto fino ad
allora e creare fuori dalle mura cittadine:”due o tre campisanti,
ove potrebbero farsi diverse sepolture, per li vari ceti di persone
e per le diverse confraternite, ospedali, e parrocchie”.
Da allora il caotico sviluppo edilizio li ha posizionati all’interno
del tessuto urbano, configurando, in termini fisici ed ideali, uno
specifico profilo della più vasta ed urgente problematica che
investe le periferie.
Il cimitero continua ad essere più che un luogo di sepoltura dei
nostri resti mortali, della nostra misera carcassa, un tempio della
memoria, un sito dove la fede si esprime degnamente nella preghiera
e nella speranza di una vita ultraterrena.
Camminando tra le sepolture, anche nei cimiteri minori, è possibile
osservare un repertorio di espressioni artistiche ora di medio ora
di alto livello, promosse da una ricca borghesia desiderosa di
tramandarsi ai posteri attraverso la riproposizione di testimonianze
architettoniche ed artistiche delle epoche più diverse, facendo si
che le sculture funerarie, le cappelle gentilizie o le stesse pietre
tombali costituiscano la distinta rappresentazione di una variegata
umanità.
Questa nuova classe sociale si esalta all’idea di poter essere
eternata grazie ad uno sfarzoso monumento funerario, desiderando
ardentemente quello che a lungo era stato appannaggio quasi unico
delle famiglie aristocratiche.
Il complesso dei cimiteri napoletani, per numero e per qualità
artistica, dimostra quanto fossero diffuse le virtù civiche e la
pietas nei confronti dei defunti nel Settecento e nell’Ottocento,
pur convivendo con altre forme di culto funerario più popolari e
inquietanti per la borghesia illuminista partenopea, come quello
ancora vivo del cimitero delle Fontanelle, ricco di valenze
antropologiche.
La scomparsa e la inesorabile decadenza economica di tante famiglie
ha vistosamente ridotto l’interesse alla manutenzione di molte
sepolture gentilizie, complice il trascorrere delle generazioni che
allenta, fino ad annullare del tutto la “celeste corrispondenza di
amorosi sensi” di foscoliana memoria, tra vivi e morti.
Ai nostri tristi giorni, domina contro le magniloquenti fanfare
della memoria, il dimesso silenzio dell’oblio e di fronte al
fenomeno dello snaturamento degli assetti cimiteriali originali
causato dal caotico sovraffollamento ed alla luce della criminale
spoliazioni dei monumenti funerari per via di furti e vandalismi,
urge la necessità di un’azione di recupero e di tutela, possibile
veramente solo se i cittadini si riapproprieranno dei luoghi ed
ameranno conoscerli e frequentarli.
La morte spesso ci raggiunge all’improvviso, per fatalità, come
chiosava magistralmente Totò, ci rapisce nel fiore della vita ed a
Napoli e solo a Napoli il più delle volte questa tragedia lascia un
segno tangibile del suo passaggio con l’abitudine di decorare con
fiori ed altarini e turni di preghiera costanti il luogo della
sciagura. Qualcuno addirittura spesso è presente sul posto in alcune
ore del giorno e rende note al passante le modalità della vicenda
con parole retoriche e strappa lacrime. Da noi, diversamente da
qualunque altra città del mondo, l’esercizio pubblico della memoria
non è riservato solo ai grandi eventi, ma anche a fatti privati, a
morti qualunque.
Altre singolarità nell’ambito cimiteriale si possono osservare solo
tra i napoletani, frutto di una maliziosa ingegnosità e di una
predisposizione truffaldina, che costituiscono la cifra stilistica
di una parte non indifferente della popolazione.
Intendiamo riferirci al subaffitto delle cappelle gentilizie, che
famiglie decadute decidono di mettere a disposizione di morti
danarosi, anche se non blasonati, mentre addirittura alcune bande
specializzate riescono a vendere dei loculi a peso d’oro a chi non
riesce a trovare una degna sistemazione per i propri defunti in
cappelle abbandonate o anche solo poco frequentate dai discendenti.
Esistono alcune bande specializzate nel ricavare sepolture in
cappelle private, per rivenderle poi a peso d’oro a chi non trova
una degna sepoltura per i propri defunti. Sulla vicenda ha aperto un
voluminoso dossier la Procura e delle indagini si interessa un
celebre magistrato, passato da tangentopoli a cimiteropoli.
Vi è poi in uno dei cimiteri periferici, quello di Marano, una
sorprendente necessità: i vivi debbono fingersi morti prima del
tempo, onde evitare che il loculo venga occupato da morti “abusivi”.
La domenica i visitatori accendono un lumino a se stessi e si
raccolgono in preghiera davanti ad una lapide col proprio nome e
cognome. Un comportamento paradossale che ha scatenato la fantasia
dei patiti del lotto, i quali suggeriscono di giocare questo terno:
48, il morto che parla, 79, il loculo e 90, la paura di perdere un
bene acquistato a caro prezzo.
Passeggiare nel cimitero di Marano è diventata così una sorta di
esperienza esoterica: arrivare con un mazzo di fiori e porlo sulla
propria tomba o su quella di un amico vivo, dire una preghiera,
leggendo sulle lapidi i nomi di parenti ancora attivi, sorridere e
piangere allo stesso tempo, rammentando l’antologia di Spoon River,
mentre il paradiso può attendere.
Una trasformazione epocale che ha modificato luoghi una volta ameni
come Poggio Vallesana, dove a Pasquetta si venivano a trascorrere
ore liete, suonando e mangiando dolciumi o si giocava nella villa
comunale, costruita intorno ad un monumento funerario di epoca
romana, testimonianza di un passato ragguardevole. Oggi a due passi
vi è la discarica di Chiaiano, traboccante di rifiuti, colate di
cemento della speculazione edilizia e, inaccessibile, la roccaforte
del famigerato clan Nuvoletta, dominante l’intera valle che va dal
mare di Lago Patria alla piana dei Mazzoni. Luogo di riunioni
tenebrose durante le quali si celebravano processi e si emettevano
sentenze di morte.
L’inarrestabile crescere delle sepolture nei cimiteri ha creato una
tale situazione di affollamento per cui le nostre città sembrano
quasi assediate e soffocate dal regno dei morti, mentre la memoria
collettiva si trasforma in indifferenza davanti alla moltitudine di
nomi che si affastellano in cappelle smisurate in cemento armato che
si innalzano a mo’ di mostruosi grattacieli. Gli spazi dedicati ai
morti straripano facendo percepire sinistramente nell’opinione
pubblica il problema della sepoltura una tematica analoga allo
smaltimento dei residui industriali o addirittura a quello dei
rifiuti. Giunti a questo punto di degrado della pietà non resta che
accogliere come un auspicio il diffondersi della cultura della
cremazione, una triste necessità da apprendere per entrare nella
modernità.
^torna su^
Chiostro grande del Cimitero di Poggioreale
Chiesa di Santa Maria del Pianto
Quadrilatero degli uomini illustri
Cimitero delle 366 fosse
Chiesa Madre del Cimitero di Poggioreale
|