Cap.58
Il Teatro
Margherita e il Cafè-Chantant
Possiamo cominciare questo capitolo con la fine
della passeggiata per Via Toledo, magistralmente descritta da uno
scrittore straniero innamorato di Napoli, la quale costituiva
l’antipasto prima del divertimento, che aveva il suo tempio nella
Galleria dove si trovavano i più celebri Caffè-Chantant.
Alla fine del percorso possiamo immaginare che stia scendendo la
sera, la luce dei lampioni a gas, le insegne dei negozi: si illumina
la scena. E possiamo “vedere” la duchessa Caffarelli che passeggia
con due gentiluomini, il conte Perrone che esce dalla pasticceria
Pintauro, alcune donne che conversano allegramente concedendosi
prolungate risate: sono le demi-mondaines, giovani donne che si
concedono solo agli uomini facoltosi. Con le loro toilettes, ma più
ancora con la loro bellezza, gareggiano con dame aristocratiche. Dai
negozi si entra e si esce sorridenti, coppie di innamorati
passeggiano scambiandosi sguardi languidi, schiocchi di frusta
sollecitano i cavalli. E’ l’ora della vita, è l’ora del cicaleccio,
è l’ora dell’amore, è l’ora in cui Toledo offre il gran finale del
suo meraviglioso spettacolo. (Alexandre Dumas)
Sul finire del XIX secolo, quando Parigi divenne il simbolo del
divertimento e della vita spensierata, i cafè-chantant valicarono le
Alpi per essere importati anche in Italia. La novità esplose a
Napoli, dove l’epoca d’oro del caffè-concerto coincise con quella
della canzone napoletana. Nel 1890 per merito dei fratelli Marino,
che capirono l’importanza di un’attività commerciale redditizia da
unire al fascino della rappresentazione dal vivo, venne infatti
inaugurato l’elegante Salone Margherita, incastonato nella Galleria
Umberto I.
L’idea fu vincente e ricalcò totalmente il modello francese, persino
nella lingua utilizzata: non solo i cartelloni erano scritti in
francese, ma anche i contratti degli artisti e il menu. I camerieri
in livrea parlavano sempre in francese, così come gli spettatori:
gli artisti, poi, fintamente d’oltralpe, ricalcavano i nomi d’arte
in onore ai divi e alle vedettes parigine. E’ chiaro come la
clientela che affollasse il Salone Margherita non fosse gente del
popolino: in ogni caso, per i più disparati gusti, sorsero altri
cafè-concert come l’elegante Gambrinus, l’Eden, il Rossini, l’Alambra,
l’Eldorado, il Partenope, la Sala Napoli ed altri ancora che
ricalcavano spesso, anche nel nome, i cafè-chantant parigini. Anche
altri bar di Napoli, che in passato non presentavano spettacoli, si
adattarono al gusto del momento presentando numeri di varietà misti
a canzoni.
Solitamente gli spettacoli proposti erano presentati in successione,
con un intervallo tra primo e secondo tempo del susseguirsi di
rappresentazioni. Solo verso la fine del primo tempo qualche
personaggio noto appariva in scena ma il clou veniva raggiunto al
termine, quando il divo eseguiva il suo numero. Importanti e famosi
artisti che iniziarono la loro carriera proprio nei caffè-concerto
furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli,
Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
Il cafè-chantant divenne in Italia non solo un luogo ed un genere
teatrale, ma anche qui, come in Francia, il simbolo della bella vita
e della spensieratezza, nel pieno della coincidenza con la Belle
èpoque.
Al successo della canzone napoletana si accompagna la nascita del
cafè-chantant con l’inaugurazione del Salone Margherita, una
settimana dopo l’apertura della Galleria Umberto I, che in breve
diverrà il cuore pulsante della cultura e della mondanità cittadina.
Il nuovo locale occuperà gli spazi sotterranei ed ottenne in breve
lasso di tempo un successo internazionale, grazie al coraggio
imprenditoriale dei fratelli Marino, che sul loro palcoscenico
fecero sfilare le più celebri vedettes internazionali, come la Bella
Otero o Cleo de Mérode, alle quali si affiancarono non meno brave ed
affascinanti prime donne indigene, che, pur sfoggiando modelli e
pseudonimi francesi, in onore del paese dove era nato quel tipo di
spettacolo, erano originarie del Vasto o del Pallonetto.
Assursero a grande notorietà anche molti comici come Gill,
Pasquariello e Maldacea o magnifiche cantanti, tra le quali spiccava
il nome di Elvira Donnarumma, la prediletta di Libero Bovio.
Sciantosa deriva dal francese chanteuse che vuol dire cantante, ma
anche primadonna, attrazione, fantasia: quella che oggi si
definirebbe una star.
Sull’esempio del cafè-chantant di Parigi, negli anni che
precedettero la prima guerra mondiale, a Napoli furoreggiò il
caffè-concerto, con protagonista, appunto, le sciantose. Per essere
il più possibile simili alle colleghe d’oltralpe, le indigene
adottavano nomi d’arte francesizzanti e gli autori di canzoni
ironizzavano volentieri su questa moda. Nacquero così “A frangesa”
di Mario Costa nel 1894, “Lily Kangy” del 1905 (la macchietta di
successo di Nicola Maldacea) e infine la famosa “Ninì Tirabusciò”,
un nome ed un cognome certo più eleganti di Nina Cavatappi. Questa
leggendaria figura fu creata nel 1911 da Califano e Gambardella e
negli anni Sessanta il ritornello, che fu il cavallo di battaglia di
Gennaro Pasquariello, venne rilanciato in televisione e al cinema da
Monica Vitti in veste di sciantosa. In epoca più vicina a noi le
gustose tiritere di Ninì Tirabusciò sono state rivisitate da Mirna
Doris, autentica vedette dell’avanspettacolo, dalla dosata ironia e
dal gustoso piglio popolaresco.
Il successo del cinema fu tale che anche il mitico Salone Margherita
fu costretto ad inserire, all’interno della programmazione serale,
alcuni minuti di proiezione di un film. Una consuetudine che si
ripeterà dopo circa 50 anni con l’avvento della televisione:
infatti, a dimostrazione che ogni nuovo mezzo espressivo cerca di
scalzare il precedente, il giovedì sera tutti i cinematografi
interrompevano la pellicola in corso per permettere al pubblico di
seguire la puntata di “Lascia o raddoppia” con un allora
giovanissimo, ma già irresistibile, Mike Bongiorno.
Poco tempo dopo l’inaugurazione della Galleria Umberto I, al suo
interno fu aperto il Caffè Calzona. Ben presto i napoletani
impararono a conoscerlo per le serate di gala e i luculliani
banchetti ufficiali che vi si tenevano.
Fu qui che, al ritorno da Parigi, fu festeggiata Matilde Serao per
il successo raccolto in terra francese e fu al Calzona che, per la
prima volta sul palcoscenico di un Cafè-chantant napoletano, ancor
prima che al Salone Margherita, si esibirono le girls. Era la
mezzanotte del 31 dicembre 1899, quando 12 bellissime ragazze, con
il loro balletto, un po’ osè per quei tempi, salutarono l’Ottocento
come il secolo d’oro appena concluso e diedero il benvenuto al
neonato Novecento.
Ma gli spettacoli di varietà nel Caffè della Galleria non
costituivano un avvenimento eccezionale: erano in programma ogni
sera. Il piccolo palcoscenico, posto proprio al centro e rivolto
verso Via Santa Brigida, fu calcato da personaggi dello spettacolo
rimasti famosi, in particolare dalla coppia Scarano-Moretti, cioè il
padre e la madre di Tecla Scarano. Gli spettacoli del Calzona
avevano tale successo di pubblico che anche i giornali dell’epoca,
spesso, ne pubblicavano le recensioni. Di solito, i critici dei
quotidiani seguivano solo le prime dei lavori in scena nei
numerosissimi teatri napoletani.
Anche il Caffè della Galleria, per i prezzi particolarmente bassi
che praticava e per gli spettacoli gratuiti e di buon livello, era
divenuto un punto d’incontro tra le classi ricche e quelle meno
abbienti. Con la spesa di soli tre soldini si prendeva il caffè
seduto al tavolino e si poteva trascorrere l’intera serata a godersi
lo spettacolo.
C’era chi, più fortunato, poteva assistere dalle finestre del suo
ufficio al primo piano. Era il caso di Matilde Serao che, dalla
redazione del Il Giorno, tra uno scritto e l’altro, volgeva
volentieri lo sguardo verso il piccolo palcoscenico del Calzona.
Il Caffè, con la sua attività di spettacoli e con il suo pubblico
eterogeneo, fornì lo spunto ad una macchietta, inventata dal
cronista mondano del Mattino Ugo Ricci. La interpretò l’attore
Nicola Maldacea nel vicinissimo Salone Margherita. Nel dialogo si
magnificavano le caratteristiche del locale: <In fatto di cafè,
presentemente, non v’è di meglio d’ ‘o CafèCalzona…/ Questa è la mia
modesta opinione: sempre secondo il mio modo ‘e vedè>.
In realtà qualcosa di meglio doveva esserci se è vero che pian piano
il Calzona perse la parte più consistente della sua clientela in
favore di altri locali, in particolare, a beneficio dei soliti
Gambrinus e Salone Margherita.
In questi anni, dopo Ninì Tirabusciò, nata dalla penna prolifica di
Aniello Califano, Ferdinando Russo firma il primo fascicolo della
Piedigrotta e, grazie alla casa discografica Polyphon, annunzia
l’ambizioso progetto di esportare la canzone napoletana in tutto il
mondo.
Giungeranno così per i siti più lontani la poetica del nostro animo
sognante, l’idea di un mare divino, di un sole ammaliante, della
nostre armonie gentili ed accattivanti.
Il fenomeno dei cafè-chantant napoletani fu tale che in breve tempo
cominciò ad espandersi nelle altre grandi città italiane. La prima
città ad introdurli a sua volta fu Roma. Il perché di tale
diffusione non deve stupire: così come a Napoli, anche a Roma, a
Catania, a Milano, a Torino ed in molte altre città letterate
d’Italia si riunivano spesso, nei bar e nelle trattorie, cantanti e
poeti che, nel corso di riunioni semiprivate, si dedicavano al canto
ed alla declamazione di poesie. Questa forma artigianale di
spettacolo fu il fertile terreno su cui si basò il successo dei
caffè-concerto, che negli ultimi anni del 1800 aprirono anche nella
Capitale.
Sempre i fratelli Marino, già proprietari del Salone Margherita di
Napoli, inaugurarono nella Capitale due nuovi locali: un altro
Salone Margherita e, successivamente, il Teatro Sala Umberto. A
questi seguirono numerosi altri cafè-chantant dai nomi altisonanti
ed esotici (non proprio tutti: il primo caffè-concerto della città,
aperto in Via Nazionale, portava il poco allegro nome di “Cassa da
morto”).
Vorremmo concludere delineando la figura di Ersilia Sampieri, al
secolo Ersilia Amorosi, la prima diva del cafè-chantant.
Torinese di nascita e napoletana di adozione, usò la sua fama e la
sua ricchezza per aiutare i bisognosi. Era orfana dei genitori, che
le lasciarono un solo capitale: una prorompente bellezza ed una
bella voce. Dopo aver lavorato in una compagnia di bambini, la
Lillipuziana, in breve si trovò ad esibire nei locali del lungomare
di Marsiglia. A Napoli si trasferì a 17 anni e, con il nome di
Piccola Andalusa, si esibiva alla Birreria dell’Incoronata, cantando
in napoletano, francese e spagnolo. Divideva il palco con giovani di
grande talento come Elvira Donnarumma ed il macchiettista Davide
Tatangelo. Alla fine girava col piattino per le offerte, facendo
intravedere il seno. Passò poi al Caffè Scotto-Jonno e da lì spiccò
il volo per esibirsi nei locali italiani più rinomati con puntate
anche all’estero.
Nel 1901, quando i fratelli Marino la scritturarono al Salone
Margherita, era già una diva. Vi rimase sei anni, alternando
esibizioni a Parigi e Londra, dove venne definita la “Sarah Bernhard
del caffè-concerto”, mentre Edoardo Scarfoglio preferiva l’epiteto
di “la Fenice della Fenice”.
Gli impresari le misero a disposizione un secondo camerino, dove
procurava lavoro, trovava un letto in ospedale, facilitava permessi
ed esoneri ai militari: tutto solo per umanità.
Su di lei circolavano svariate leggende: amante di un rampollo di
casa Savoia o membro della massoneria.
Di lei si innamorò perdutamente Libero Bovio, che le dedicò una
struggente poesia.
Nel 1907 sposò Mister Muscolo, un lottatore acrobata gelosissimo,
che le vietò le attività benefiche e la portò in breve alla
separazione ed alla solitudine.
A Parigi fece innamorare un petroliere e durante una tournée in
Medio Oriente, conquistò un pascià disposto a follie pur di averla
nel suo harem.
Resse la scena fino ai 45 anni e piano piano, finiti i risparmi, per
sopravvivere si improvvisò chiromante con studio a Roma. Resistette
12 anni, poi finì all’ospizio dove si spense a 78 anni nel 1955.
La sua voce è giunta fino a noi grazie ai dischi della Phonotype,
che ci permettono di riascoltare i suoi cavalli di battaglia: “ I te
vurrìavasà”, “Voglio siscà” e “Donna Fifì”.
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Manifesto del Salone Margherita
Il Salone Margherita
Anna Fougez
Cleo de Merode, detta la Bella Otero
Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa con Monica Vitti
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