Cap.26
Suor Giulia, una torbida storia di sesso e religione
Napoli è stata definita sul finir del Seicento la nuova Ossiringo,
l’antica città egizia celebre per la presenza di ben diecimila
monaci e ventimila monache ed infatti all’epoca la città contava ben
centoquattro conventi maschili e all’incirca una quarantina di
monasteri femminili, mentre le chiese enumerate dal Celano nel 1692
erano cinquecentoquattro, al punto che poteva ben dirsi ogni
contrada, ogni angolo o è chiesa o è di chiesa.
Le mura dei monasteri vengono costruite sempre molto alte, perché
ciò che succede all’interno a volte è preferibile che non esca
fuori, come nel caso delle monache di S. Arcangelo a Baiano, che si
racconta si abbandonassero spesso e volentieri a pratiche
orgiastiche. E di queste poco commendevoli abitudini si vociferava
da tempo in città, se una loro badessa compariva degnamente nella
novella boccaccesca di Masetto da Lamporecchio.
Il padre spirituale del convento, S. Andrea Avellino, fu costretto
ad intervenire con decisione, trasferendo le religiose, tutte di
nobile famiglia, in un altro monastero quello di San Gregorio Armeno
e consigliò al cardinale Paolo Burali d’Arezzo la riduzione del
luogo sacro allo stato laicale, perché si accorse che agivano forze
misteriose, preesistenti alla costruzione della struttura, dove in
passato sorgeva un tempio pagano, la cui localizzazione veniva
delegata a sacerdoti rabdomanti, in grado di percepire energie
sconosciute, la cui presenza facilitava lo svolgersi dei riti
misterici.
La vicenda delle monache di facili costumi è stata immortalata anche
dal pennello di Tommaso de Vivo, il quale, travisando la punizione
per le suore, che fu un semplice trasferimento, immaginò una
condanna esemplare ed in un grande quadro, conservato nella
pinacoteca del principe di Fondi, immortalò un eccidio con monache,
avvelenate, trafitte a fil di spada o precipitate giù dalle
finestre.
Un’altra vicenda scandalosa ci viene rivelata da un processo del
1599 in cui viene condannato un parroco di Pollena Trocchia per aver
abusato di alcune penitenti vergini, adescate attraverso il
sacramento della confessione, una abitudine che pare fosse molto
diffusa a quei tempi
Singolare invece la pratica di un religioso teatino, il quale aveva
ideato un particolare esorcismo, che diveniva efficace solo se
applicato sui genitali femminili, una preferenza anatomica che
diverrà un vero e proprio culto nella Confraternita della carità
carnale ideata alcuni anni dopo da suor Giulia.
Una vicenda ancora più inverosimile delle monache di S. Arcangelo a
Baiano e poco conosciuta anche dagli storici riguarda infatti una
suora ex francescana, Giulia de Marco, protagonista nel 1611 di una
torbida storia di sesso e religione, di recente scoperta compulsando
antichi documenti processuali. Infatti della poco edificante storia
si occupò la stessa Inquisizione in uno dei rari interventi negli
avvenimenti cittadini.
Della donna non sappiamo molto: ceduta ad una coppia senza figli
rimarrà presto sola per la morte dei genitori adottivi, venne
affidata ad una parente che la condusse a Napoli nella sua casa,
dove fu deflorata da un servo e dalla tresca nacque un bimbo che
finì nella ruota dell’Annunziata.
La donna comincia ad avere visioni mistiche e subito viene ritenuta
in odore di santità non solo presso il popolino, ma anche presso la
migliore nobiltà napoletana. Ella fondò una congregazione con un
popolano, Aniello Arcieri ed un avvocato, tale Giuseppe De Vicaris.
Si venne a costituire una sorta di setta, detta della carità
carnale, la quale preconizzava la possibilità di accedere alle porte
del paradiso, rendendo omaggio alle parti intime della suora,
attraverso baci ed altre forme materiali di venerazione. Di questa
consorteria facevano parte personaggi insospettabili, tra cui lo
stesso viceré conte di Lemos con la moglie, decine di membri della
nobiltà sia spagnola che napoletana e numerosi cardinali ed
arcivescovi.
L’atto sessuale non solo non veniva considerato un peccato, bensì
un’opera meritoria nei riguardi di Dio. Cadevano così gli obblighi
di castità e le preghiere venivano sostituite da accessi più o meno
penetrativi alle parti intime della santona.
La Madre riceveva i fedeli nelle stanze di Palazzo Suarez, dove
esistevano due differenti percorsi iniziatici:uno dedicato agli
uomini più attempati o sposati che potevano solamente pregare,
mentre i più giovani e prestanti avevano accesso alla contemplazione
più o meno platonica delle parti intime di suor Giulia.
Lo straordinario successo di pubblico insospettisce l’inquisitore
locale, messo in allarme da suor Orsola Benincasa, gelosa dell’aura
di santità della collega rivale. Si mette in moto l’ordine dei
Teatini, nonostante la protezione che godeva la donna e Giulia viene
accusata di avere legami con il diavolo, un capo di imputazione
consueto sin dai tempi della caccia alle streghe. I giudici del
Sant’Ufficio per evitare tumulti decidono di trasferire di notte il
terzetto a Roma, dove il 12 luglio 1615, essi faranno pubblica
abiura, salvandosi così dal rogo e venendo condannati a finire i
loro giorni nelle tetre prigioni di Castel Sant’Angelo.
La storia di suor Giulia e della sua confraternita, restituita alla
sua oggettività storica, dal reperimento dei documenti, anche se
solo dell’accusa, rimane uno dei capitoli più nebulosi ed
accattivanti della Napoli seicentesca e diventa difficile capirne la
matrice, se si trattasse cioè di semplici pratiche sataniche, di un
revival di riti sessuali a sfondo misterico, da sempre diffusi in
area partenopea o di una struttura di potere che adoperava un
paravento confessionale per cementare la sua forza, senza trascurare
le tentazioni e le gioie del sesso.
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Libro su Suor Giulia
Le monache di Sant'Arcangelo a Baiano
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