Così è stato chiamato la Vocazione dei
santi Pietro ed Andrea, il dipinto delle collezioni reali inglesi,
adoperato per secoli come sovrapporta vicino ai devastanti fumi di
un camino, prima che Maurizio Marini, tra i massimi conoscitori del
pittore, lo facesse restaurare e lo attribuisse perentoriamente al
Caravaggio.
Fino alla fine di gennaio il quadro è in mostra a Roma, accanto a
quattro colleghi, anche essi ritenuti autografi del grande artista
lombardo.
Cerchiamo di approfondire la rassegna, adoperando molta cautela nei
giudizi, per evitare la figuraccia alla quale si è esposto in questi
giorni il nuovo cardinale di Napoli, annunciando la scoperta di un
nuovo Caravaggio sotto una tela antica, scoprendo poi di aver avuto
unicamente un’allucinazione.
Le allucinazioni non sono privilegio
dei principi della chiesa, infatti nella mostra romana, allestita in
alcuni locali della stazione Termini, a fare compagnia al celebre
quadro inglese, vi sono altri dipinti ritenuti autentici da fior di
studiosi, quali il Cavadenti, proveniente dalla Galleria palatina di
Palazzo Pitti a Firenze, una scoperta di Mina Gregori, un’autorità
indiscussa, che, in questa attribuzione è stata vittima della
sindrome di Caravaggio, uno strano morbo che colpisce unicamente gli
storici dell’arte. Si tratta del desiderio inconscio di scoprire un
Caravaggio. Senza questa malattia non si spiegherebbe l’incauta
attribuzione che negli anni non è stata accolta dagli altri esperti
dell’autore.
Vi è poi un San Giovannino che si abbevera alla fonte, che fu già
presentato come proposta attributiva alla grande mostra che si tenne
due anni fa a Capodimonte sugli ultimi anni di attività dell’artista
e che già all’epoca sollevò più dubbi che certezze.
San Giovannino
Ed infine un Sacrificio di Isacco di
una collezione americana, una tela interessante, potente, piena di
luce abbagliante, con quel tizzone ardente per accendere le fascine,
ma sulla quale si dovrà ancora studiare prima di accoglierla
definitivamente nel catalogo ufficiale.
Sacrificio di Isacco
Ma passiamo alla star, al dipinto della regina, che costituisce
senza dubbio un’opera estremamente interessante, anche se molto
rovinata e ben poco hanno potuto fare i restauratori inglesi dove si
era persa materia pittorica o dove le successive ridipinture si sono
legate indissolubilmente ai pigmenti originari.
Il quadro è stato realizzato a Roma ad
inizio secolo ed è entrato come autografo nelle collezioni inglesi
già nel 1637, quando consulente della regina era Orazio Gentileschi,
un esperto in grado di distinguere il grano dall’oglio.
Vocazione dei santi Pietro ed Andrea
Presenta numerosi pentimenti, rivelati dagli esami radiografici, per
cui non si tratta di una copia come a lungo si è creduto ed il
taglio compositivo è certamente caravaggesco, ma ricorda molto lo
stile anche di alcuni seguaci di grande livello, come Bartolomeo
Manfredi o alcuni caravaggisti francesi attivi a Roma in quegli
anni, come Valentin de Boulogne o Nicolas Tournier.
Un’altra incertezza è sollevata dai
colori così simili a quelli adoperati dai pittori emiliani
contemporanei del Caravaggio ed attivi a Roma. Difficilmente, in
brani sicuramente autografi, si riscontrano quelle originali
tonalità di verde e giallo, di carminio ed ultramarino.
Il volto di Gesù è quello di un giovane imberbe, in stridente
contrasto con gli apostoli barbuti, una licenza iconografica in
linea con la pittura rivoluzionaria amata dal maestro lombardo.
Una visita ad un quadro così discusso e che continuerà a far
discutere si impone per studiosi ed appassionati. Un salto a Roma ed
ognuno sarà libero di giudicare con i propri occhi, senza
dimenticare la sindrome di Stendhal, resa celebre dal film di Dario
Argento, che pare colpisca unicamente i soggetti predisposti, in
contemplazione davanti ad un Caravaggio.
E chi vorrà confrontarsi col sottoscritto, lo potrà fare sabato 20
gennaio alle ore 12:30, in occasione della nona tappa delle visite
degli Amici delle chiese napoletane.
cava dente
Buon Natale
Achille della Ragione
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