… la Terra non
appartiene all’uomo è l’uomo che appartiene alla Terra…
(Ammonimento del
Capo indiano Seattle al Presidente degli Stati Uniti nel 1854)
Prefazione
L’idea di questo viaggio mi è
balenata durante la presentazione del libro Gomorra di
Roberto Saviano alla rassegna letteraria Libri d…amare, che
si tiene a Lacco Ameno nei mesi estivi. Rimasi in particolare
colpito da un capitolo che esaminava il business dello smaltimento
dei rifiuti tossici in Campania ad opera della camorra, complici le
istituzioni. Sembravano novità assolute, poi, navigando su internet,
potetti constatare che non vi era niente di inedito, come chiunque
può accertarsi consultando la bibliografia, senza nulla togliere
all’incredibilità degli episodi raccontati.
Naturalmente ero già al corrente che
lo smaltimento della spazzatura in Italia, ma soprattutto in
Campania, ha assunto negli ultimi anni proporzioni tali da diventare
un problema molto grave, fonte di preoccupazione sociale, ecologica
e sanitaria. Avevo seguito sulla stampa l’interminabile diatriba
sulla costruzione del termovalorizzatore di Acerra e decine di
volte, come un qualsiasi cittadino, avevo dovuto fare i conti con
cumuli di immondizia agli angoli delle strade, sempre più minacciosi
e puteolenti.
Mi ero chiesto come mai nessun
quotidiano, al di là della cronaca asettica degli avvenimenti,
avesse ritenuto di farsi promotore di una grande inchiesta per
rendere nota ai cittadini la verità sulla complessa vicenda.
Purtroppo da noi i cittadini sono ancora ritenuti sudditi da tenere
all’oscuro delle beghe di potere; meno sanno, meglio è. Fui colpito
dall’enormità delle cose narrate: residui nucleari, fusti tossici
provenienti da mezza Europa, incendio criminale delle discariche,
addirittura scheletri umani e teschi in libera uscita nelle
campagne.
Decisi allora di intraprendere un
lungo viaggio nel pianeta monnezza alla ricerca della
verità, prima perché bramavo raggiungerla e poi per poterla
comunicare agli altri, ai sudditi…, che solo al momento del voto
possono, se vogliono, divenire cittadini. Ho navigato giorni e
giorni su Internet scaricando centinaia di notizie, ho consultato
gli atti già depositati delle inchieste giudiziarie, ho fatto tesoro
dell’archivio telematico dei Carabinieri ed intervistato decine di
politici, imprenditori, studiosi del problema, abitanti delle zone
interessate.
Credevo di incontrare ostacoli e
reticenze, viceversa nessuno degli interlocutori si è sottratto al
confronto, anche se i più importanti hanno imposto di confidarsi a
quattro occhi, anzi a quattro orecchie, perchè le cose riferite
erano scottanti.
Ho inteso concludere proponendo,
nell’ultimo capitolo, un modello di trattamento dei rifiuti
esemplare, che possa essere adottato a Napoli, come al Cairo o a
Tokyo, a Milano come a Città del Messico, un cambiamento
rivoluzionario necessario ed improcrastinabile davanti ad un mondo
dominato da un capitalismo spietato ed un consumismo suicida, che in
pochi anni si avvia a divorare tutte le risorse naturali e a
divenire una pattumiera planetaria.
Il viaggio è finito e credo, per
quanto possibile, di aver raggiunto la verità.
Nel libro la trasferisco a tutti i
lettori, sperando che sappiano farne buon uso.
Napoli 1 novembre
2006 Achille della Ragione
Il passato - 1
La spazzatura è il segno tangibile e spesso maleodorante dell’esito
frenetico di una civiltà consumistica destinata a divorarsi ed a
distruggersi. La Campania è la capitale dei rifiuti ed il
ricettacolo di tutte le sostanze tossiche e di tutti gli scarti
della produzione della nazione.
Negli ultimi decenni ne sono stati scaricati in quantità
vertiginosa, responsabili, non solo la malavita organizzata e la
classe politica collusa, ma tutti noi che non abbiamo saputo
controllare questo flusso impetuoso, che ha degradato in maniera
irrimediabile l’ambiente ed ha compromesso il futuro dei nostri
figli, che dovranno scappare o convivere con sostanze velenose di
ogni genere, inclusi gli scarti delle centrali nucleari.
Secondo le stime per difetto delle associazioni ambientaliste, se i
rifiuti accumulati negli ultimi anni fossero riuniti a formare una
montagna con una base di ben 30.000 metri quadrati, l’Everest con i
suoi scarsi 9.000 metri impallidirebbe, perché questa montagnia
mostruosa supererebbe i 15.000 metri di altitudine, una massa
spaventosa ed inimmaginabile sparpagliata nelle nostre campagne e
nelle degradate periferie delle nostre sfortunate città.
La maggior parte di questa schifezza si trova concentrata in poco
più di trecento chilometri quadrati di estensione tra il casertano
ed il perimetro urbano napoletano. I comuni più colpiti che gridano
vendetta, oramai unicamente al cospetto di Dio, perché hanno perso
ogni speranza nella giustizia degli uomini sono: Acerra, Casal di
Principe, Castelvolturno, Cancello Arnone, Giuliano, Grazzanise,
Marigliano, Nola, Qualiano, Santa Maria la Fossa e Villaricca.
Questo sporco business ha fruttato alla camorra ed alle ditte
interessate in pochi anni circa 50 miliardi di euro, con un
incremento annuo del 30%.
Tre clan sono responsabili dei traffici illeciti ed agiscono, almeno
negli ultimi tempi, senza intralciarsi vicendevolmente.
I rifiuti creano colline artificiali o vengono stipati nella
numerose cave abbandonate, che dopo aver sfregiato per decenni il
solenne profilo delle montagne, vengono utilizzate per ospitare
spazzatura compressa fino all’inverosimile. Alcune di queste cave
contengono una quantità di rifiuti paragonabile al carico di 30.000
Tir, per intenderci una fila di autocarri senza soluzione di
continuità da Napoli a Milano.
E quando le discariche sono colme ed andrebbero chiuse, ci pensano
dei provvidenziali incendi appiccati da sconosciuti… a ridurre la
massa ed a fare spazio a qualche altro migliaio di carichi. Sono
incendi spaventosi, alti decine di metri e che durano
ininterrottamente per giorni e notti, vomitando nell’aria una
quantità impressionante di sostanze tossiche, tra cui la micidiale
diossina, che si vanno poi a depositare al suolo, trasformando
antiche terre, tra le più fertili d’Europa, in lande desolate.
Gli agricoltori non potendo proseguire il loro lavoro cedono
volentieri a prezzi stracciati le loro proprietà alla malavita, la
quale può così aprire nuove discariche e l’infernale processo
continua così con rinnovata lena.
La zona delimitata dalle cittadine di Giugliano, Qualiano e
Villaricca contiene 40 discariche, delle quali 30 con rifiuti
estremamente tossici, che vengono continuamente incendiate da bande
specializzate, a tal punto che la contrada è tristemente conosciuta
come la terra dei fuochi e non vi è notte che non sia illuminata dal
sinistro bagliore delle fiamme, che si sprigionano, attizzate
dall’alcol e dalla benzina, come una micidiale bomba al napalm.
Scomparsa l’agricoltura sono comparse le malattie genetiche, le
affezioni respiratorie, i tumori: una falcidia spaventosa ben più
ampia di quella già tragica segnalata dalle Asl locali, che non
tengono conto dei pazienti, numerosissimi, che preferiscono
rivolgersi agli ospedali del nord.
Ed anche nel bestiame vi è stata una strage silenziosa ed una serie
di malformazioni allucinanti. Per sincerarsene è inutile leggere le
catastrofiche relazioni dei veterinari comunali, basta osservate un
gregge e notare che più di una pecora presenta due teste.
Se percorriamo queste lande desolate possiamo identificare con
l’ausilio semplicemente dei sensi il tipo di sostanza velenosa
depositato.
A Villaricca da tempo è sorta una cospicua collinetta dall’odore
rancido e nauseabondo, ma se tira molto vento, essa si divide in
piccoli cloni pronti a ricostituirsi nuovamente. Avvicinandosi il
puzzo diviene intollerabile e la sorpresa sbalorditiva: la nuova
altura è infatti costituita da un’enormità di carte adoperate per
pulire le mammelle delle vacche del regno di Bossi. Centinaia di
allevamenti intensivi nei quali per anni vi è stata un’epidemia di
mastite, per cui dai capezzoli, tra una mungitura e l’altra,
fuoriusciva pus e latte, pus e sangue, oltre naturalmente a miliardi
di batteri che trovavano nei fazzolettini un pabulum ideale per
prolificare, producendo il classico odore putrefattivo della
cangrena.
Tra Villa Literno e Castelvolturno, località con ambizioni
turistiche, l’odore acido e penetrante dell’inchiostro toglie il
fiato, soprattutto dopo un acquazzone, quando l’acqua evapora,
carica di veleni micidiali di cui è infarcito il terreno, dopo che
per anni è stato utilizzato come sversatoio a cielo aperto del toner
di tutte le stampanti e fotocopiatrici del laborioso ed alacre nord,
le cui industrie, quando devono liberarsi di rifiuti speciali, il
cui smaltimento è particolarmente oneroso, trovano più semplice ed
ecologico… incaricare quelle solerti ditte casertane con sede a Roma
o all’estero che, per un tozzo di pane e con una fattura falsa
gonfiata (tanto falliscono e si ricostituiscono periodicamente con
insospettabili prestanomi) si incaricano di smaltieri i residui di
produzione.
La terrificante conferma è venuta dalla recente operazione ”Madre
Terra” coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Questo
puzzo così patognomonico è provocato dal cromo esavalente, un veleno
che se respirato si fissa all’emoglobina dei globuli rossi,
producendo difficoltà respiratoria e colpisce cute, polmoni, reni,
dando luogo ad un repentino aumento di incidenza del cancro.
L’aumentata radiottivita di molti terreni richiede viceversa
l’ausilio di un contatore geiger, che a volte sembra letteralmente
impazzire, segno inequivocabile che in numerose discariche, tra
buste di plastica e cartoni o innocenti rifiuti organici, sono state
occultate scorie nucleari, provenienti dall’estero. Un allarme
rosso, tenendo conto che metà del prezzo dell’energia prodotta da
una centrale nucleare è imputabile al corretto stoccaggio dei
rifiuti della fissione, ma se di questo problemuccio si fa carico
qualche solerte società, napoletanissima, con sede in una capitale
dell’Est, il guadagno è ingentissimo.
Ma ritorniamo alla semplice vista, basta uno sguardo per verificare
che le campagne intorno Santa Maria Capua Vetere sono divenute la
memoria storica dei nostri antenati.
Ben prima che i Nas di Caserta lo ufficializzassero, ci voleva
attenzione per non inciampare in un femore, o addirittura contro un
teschio.
I cimiteri del Nord, periodicamente, attraverso l’esumazione
liberano i terreni dall’ingombro di scheletri oramai dimenticati da
anni, senza parenti che possano reclamare, per creare nuove zone di
sepoltura, per una clientela che non conosce crisi.
Il materiale andrebbe smaltito, incluse le bare infradiciate ed i
lumini, attraverso costose ditte specializzate, ma anche in questo
caso come rifiutare l’offerta di quei signori così eleganti ed
educati, che assicurano lo samaltimento con rapidità ed efficienza
ad un prezzo stracciato.
Ben prima della scoperta delle autorità tanti cittadini, indignati e
timorati, si facevano il segno della croce, quando passavano accanto
a questi terreni divenuti un gigantesco cimitero.
Se vogliamo entrare in contatto fisico con montagne di monnezza
leghista, basta recarsi a Trentola Ducenta, dove grazie alle
indagini del pm Donato Ceglie della Procura di Santa Maria Capua
Vetere, si è scoperto che, in soli quaranta giorni, dalla Lombardia
sono giunte 7000 tonnellate di rifiuti, molti dei quali estremamente
pericolosi.
Per respirare l’aria mefitica delle pattumiere della città di Milano
è sufficiente spostarsi a Grazzanise, dove per decenni è stata
raccolta la metà della terra di spazzamento della città meneghima,
mentre l’altra metà, a prezzi ben più alti, prendeva la via della
Germania.
Ed infine una storiella ai limiti dell’incredibile raccontata da
Roberto Saviano in Gomorra, miniera di notizie rese in forma di
romanzo.
Un contadino stava arando il suo terreno quando la lama del vomere
cominciò a disotterrare migliaia di banconote sbrindellate.
L’anziano agricoltore era certo di essersi imbattuto nel tesoro
sepolto della camorra e sorrideva beffardo, ma si era sbagliato, non
sulla malavita, che centrava e come, ma su ciò che aveva trovato: si
trattava infatti di denaro triturato proveniente dalla Banca
d’Italia, tonnellate di banconote usurate e fuori corso, gettate lì
a scaricare il micidiale piombo del quale sono intrise nei suoi
innocenti cavolfiori.
Per organizzare in maniera efficace, battendo la concorrenza, il
traffico dei rifiuti, la criminalità organizzata si serve di
cervelli educati nelle più celebri università, specializzati in
politica ambientale…Naturalmente queste figure professionali, nuove
nel mercato del lavoro, oltre alla teoria appresa alla Bocconi o
alla Luiss, imparano molto precocemente a declassificare in maniera
truffaldina i rifiuti tossici rispetto al catalogo europeo, il Cer,
che detta le norme per lo smaltimento delle sostanze tossiche o a
preparare false certificazioni, in grado di far passare per innocua
spazzatura un carico di micidiali veleni.
Si chiamano stakeholder queste teste d’uovo, che i clan si
contendono a fior di banconote, pur di usufruire dei loro preziosi
servigi.
Quasi tutte le industrie producono rifiuti speciali, che richiedono
molto denaro per essere correttamente smaltiti, dagli stabilimenti
chimici alle concerie, dalle fabbriche di plastica agli allevamenti
di bestiame, dagli ospedali alle fabbriche di pneumatici. Tra i
materiali che più creano problemi ricordiamo: arsenico, cadmio,
cobalto, cromo, mercurio, molibdeno, nichel, piombo, rame e zinco ed
inoltre scarti di vernici, fanghi dei depuratori e scarti delle
acciaierie.
I prezzi variano a secondo delle sostanze, da un minimo di 10 - 20
centesimi a chilo per i diluenti fino ad un euro per il pentafosfuro
di fosforo. Naturalmente grazie alla consulenza di uno stakeholder
le ditte possono risparmiare fino al 90%, oltre al non trascurabile
vantaggio di lasciare ecologicamente intatti i territori limitrofi.
La catena di trasferimento verso il Sud dei rifiuti speciali parte
dai trasportatori, i quali, dopo che i chimici hanno falsificato i
documenti, trasformando un carico di rifiuti tossici in innocente
immondizia, con i loro Tir stracolmi, giungono in Campania. Quindi i
fusti velenosi vengono caricati su camion più piccoli, che li
traghetteranno fin nelle viscere della discarica, eseguendo il
lavoro più rischioso, per il quale vengono adoperati minori non
imputabili. Gli autisti non scendono nemmeno dalla gabina di guida,
perchè l’operazione di scarico è molto pericolosa, basta che un
contenitore prenda una botta e perda della sostanza, per
compromettere, inalandola, per sempre la respirazione.
L’inchiesta giudiziaria Eldorado 2003, condotta dal nucleo operativo
ecologico dei Carabinieri diMiilano, ha acclarato che questo
comportamento è oramai una regola che non ammette eccezioni, ma esso
vige da oltre 15 anni, da quando nel 1991 un autista, tal Mario
Tamburrini, finì in ospedale con gli occhi fuori dalle orbite ed
ustioni per tutto il corpo, a causa della fortuita apertura di un
fusto tossico vicino al viso, che lo aveva bruciato a secco, senza
provocare fiamme.
Questi autisti novelli vengono mandati al massacro per qualche
manciata di soldi: 200 - 300 euro. E loro si sentono molto
importanti, con quel denaro potranno comprare la motocicletta, la
dose di eroina o andare a puttane, come i grandi, ignari che di li a
pochi anni, il cancro li divorerà e gli ultimi giorni della loro
breve esistenza avranno come compagna la flebo di chemioterapici ed
il tardivo rimorso di aver sprecato una vita.
Alcune volte per facilitare queste operazioni criminali non è
necessario neppure corrompere l’intera classe politica, basta un
funzionario compiacente, un tecnico corrotto, un impiegato
volutamente distratto e può andare in porto una grossa operazione.
Nei tempi brevi questo smaltimento selvaggio delle scorie ha
permesso a tante aziende del Nord di rimanere competitive sui
mercati internazionali, di resistere disperatamente alla concorrenza
delle merci cinesi, che non conoscono cosa sia l’inquinamento
industriale, a parte i diritti sindacali.
In ultima istanza ha permesso di contenere il numero dei disoccupati
in Italia. A pagarne le conseguenze sono state, sono e saranno le
popolazioni meridionali, costrette a vivere in condizioni ambientali
contaminate irrimediabilmente, senza tenere conto dei cumuli di
spazzatura ad ogni angolo di strada, che degradano il vivere civile.
Gli stakeholder campani sono i più efficienti d’Europa e da loro
sono venuti ad imparare da mezzo mondo, con i cinesi in prima fila.
Il modello criminale napoletano in un’epoca di capitalismo sfrenato
e di consumismo dissenato come la nostra ha avuto successo e si sta
espandendo a macchia d’olio. Fermarlo prima che sia troppo tardi è
interesse comune italiano ed europeo.
Come nel caso delle griffe contraffatte che da Napoli invadono mezza
Europa, muovendo capitali da brivido, grazie ad una criminalità
sempre più audace ed efficiente, che ha trasformato in pochi anni il
porto della nostra città nel crocevia dei traffici illeciti
internazionali.
Queste considerazioni, amare quanto reali, non sono frutto di
coraggiose indagini giornalisti o sociologiche, ma possono leggersi
nelle carte processuali delle molte indagini aperte dalla
magistratura, indagini difficili, per il velo spesso di omertà che
tradizionalmente circonda le attività malavitose, ma soprattutto
troppo lunghe e garantiste per incidere profondamente sulla realtà.
Tra le indagini degli ultimi anni, i cui atti sono consultabili,
ricordiamo l’operazione Cassiopea, del 2001, che dimostrò che ogni
settimana dal Nord verso le nostre terre infelici giungevano 40 - 50
Tir stracolmi di sostanze tossiche, quella denominata Houdinì, del
2004, che prese in osservazione un solo impianto del Veneto, nel
quale si gestivano ogni anno 200.000 tonnellate di rifiuti. Altre
più recenti: Re Mida(dal nome di un intercettato che si vantava di
tramutare l’immondizia in oro), Mosca ed Agricoltura biologica hanno
evidenziato il rischio di diffusione di queste pratiche al di fuori
della Campania, che fino ad oggi nei progetti della camorra era
destinata a ricettacolo nazionale. L’Umbria ed il Molise sono già
state oggetto dello smaltimento criminale di residui metallurgici e
siderurgici ed addirittura la Procura della Repubblica di Larino ha
scoperto enormi quantitativi di residui catramosi miscelati nel
terreno agricolo e numerose partite di grano locale straripanti
letteralmente di cromo. Ed altre zone di espansione della
criminalità sono divenute negli ultimi anni Albania, Costarica,
Mozambico, Nigeria, Somalia e Romania. Una piovra dai tentacoli
voraci ed onnipresenti, che minaccia di avvolgere tutto e tutti.
Mentre per decenni la Campania è stata, ed è tuttora, la
destinazione finale delle più pericolose sostanze tossiche del Nord,
pratica criminale che ha arricchito unicamente la malavita e
distrutto irreparabilmente l’ambiente, siamo costretti oggi a
spedire la nostra spazzatura, innocua ed in grado di produrre
ricchezza, in Germania, con un carico di spese per il contribuente
non indifferente, ben superiore a quanto costerebbe trattare i
rifiuti in loco.
Nel frattempo le strade delle nostre città sono oberate
periodicamente da montagne di rifiuti ad ogni angolo, con cumuli che
a volte raggiungono i primi piani delle case, fotografate
spietatamente dai corrispondenti esteri e destinate a dominare le
prime pagine dei giornali stranieri, col malcelato proposito di
spaventare i turisti e dirottarli verso altri lidi di proprietà
delle grandi multinazionali tedesche e spagnole. Una situazione di
degrado della vivibilità insostenibile, che conferma il triste
primato di Napoli quale indiscussa capitale della monnezza, un poco
ambito titolo di vecchia data, che si consolida sempre più e che è
oramai è entrato stabilmente nel Dna dei cittadini.
Un corteo interminabile di treni diretti verso la zona industriale
di Dusseldorf e verso la cittadina di Oberhausen, nella Renania
settentrionale, dove il piano straordinario di smaltimento prevede
l’arrivo di 100.000, forse 200.000 tonnellate di immondizia. Ogni
treno trasporta 580 tonnellate di carico… ed impiega 32 ore per
giungere a destinazione. Le capsule imbottite di rifiuti sembrano
uova gigantesche deposte da un uccello alieno ed intasano i 21
vagoni dell’insolito convoglio. Sono attese dai termovalorizzatori
teutonici, costruiti negli anni Settanta e divenuti inoperosi a
seguito di una massiccia campagna di riciclaggio, che ha ridotto
drasticamente il prodotto da incenerire. Languono pigri come
odalische trascurate dal sultano ed hanno accolto come manna dal
cielo il fiume di denaro napoletano, poco meno di 40 miliardi delle
vecchie lire, elargito per gestire l’emergenza. Sono impianti in
gran parte in attesa di essere dismessi, perchè divenuti inutili con
la raccolta differenziata eseguita seriamente, mentre noi in Italia,
con denaro pubblico a profusione, ci avviamo a costruirne più di
quanti ce ne serviranno negli anni a venire.
La spazzatura è rimasta l’ultima merce che la Campania esporta…
all’estero, ma non ne ricava certo ricchezza nè gloria. Nel
dopoguerra partivano per la Germania gli emigranti, con le valigie
di cartone legate con lo spago, carichi di disperazione e di
nostalgia, di ansia di riscatto e di antica dignità. Negli anni
successivi furono seguiti dai giovani laureati, che cercavano
all’estero una sicura affermazione ed una maggiore soddisfazione
professionale. Le mani più abili ed i cervelli più raffinati, oggi
siamo in grado di esportare solamente la peggiore parte di noi
stessi: la monnezza.
Una situazione paradossale che non può e non deve durare a lungo!
Necessita una presa di coscienza da parte di tutti i cittadini, che
attraverso ogni mezzo debbono attivarsi per cambiare registro,
adoperando principalmente l’arma del voto, una possibilità che può
risultare decisiva.
La storia tribolata della spazzatura campana comincia un’eternità
fa, col commissariamento della gestione dovuto all’incapacità dei
politici locali di interessarsi a risolvere la questione.
Invano cercheremo in emeroteca tra le pagine dei grandi giornali le
tappe di questa penosa odissea, l’unica bussola è costituita dai
comunicati on line dei gruppi ambientalisti, verdi ed
ultrasinistrorsi, molto motivati a condurre la battaglia contro il
malgoverno, le speculazioni e, soprattutto la costruzione dei
termovalorizzatori. Sono una massa enorme di materiale di diversa
qualità, tra il quale è difficile districarsi per chi voglia cercare
di raggiungere od avvicinarsi onestamente alla verità.
In questi ultimi anni si sono succedute, come un amaro bollettino di
guerra, unicamente notizie di cronaca riguardanti le proteste per la
costruzione del termovalorizzatore di Acerra, che, quando e se, sarà
completato sarà il più grande d’Europa. Il blocco della circolazione
automobilistica e ferroviaria tra nord e sud d’Italia, avvenuto
ripetutamente, è stato il momento topico che ha imbestialito
centinaia di migliaia di persone intrappolate e dato spazio ai
primati negativi di Napoli sulle prime pagine dei quotidiani. A
latere occupazione di edifici pubblici, dai municipi alle scuole ed
uscita dal consiglio regionale di partiti politici contrari alla
localizzazione dell’impianto. Ed in queste manifestazioni di furore
collettivo, a fianco di pregiudicati sicuramente prezzolati, è
sempre stata stranamente rispettata una sorta di par condicio,
infatti in prima fila si alternavano con disinvoltura i no global e
l’estrema sinistra ad esponenti di An e del mondo cattolico, con
monsignori onnipresenti e preti d’assalto inneggianti a sguarciagola,
in perfetta sintonia con ceffi patibolari ed esagitate matrone. Il
cittadino, travolto da notizie di cronaca derivate da una visione
sull’argomento dicotomica, vorrebbe onestamente saperne di più dai
mass media, nessuno dei quali, né locale, né nazionale, si è mai
premurato di sviluppare una inchiesta approfondita sulla pur
importante querelle.
Fino ad ora ai cittadini i mass media non hanno raccontato la verità
ed è stata contrabbandata come emergenza l’incapacità politica di
gestire quello che in altre regioni italiane è routine quotidiana,
perchè dello smaltimento dei rifiuti urbani si interessano senza
problemi ed efficacemente le amministrazioni locali.
L’inefficienza degli ultimi 12 anni, durante i quali la situazione è
stata retta da un commissario di nomina governativa, dimostra il
malgoverno e l’inettitudine sia del centro destra che del
centrosinistra, mentre una classe dirigente evanescente stava in
disparte e la magistratura solo recentemente si è resa conto della
gravità della situazione, intervenendo attivamente, dopo che per
anni, carabinieri, polizia, corpo forestale e guardie municipali
hanno permesso a migliaia di Tir, provenienti da mezza Europa, di
scaricare indisturbati i loro micidiali carichi di rifiuti tossici e
nucleari, “in grado di sterminare intere popolazioni”(Newsweek), di
provocare “l’insorgere di malattie endemiche tremende”(Lancet
oncology, Settembre 2004), creando situazioni di degrado ambientale
tali da “far presagire un esodo biblico dalla Campania” (Assise di
Palazzo Marigliano, 2006).
Nel 1994 il governo ritenne opportuno creare dei commissari speciali
preposti alla gestione del problema rifiuti, che da tempo aveva
ampiamente superato il livello di guardia. La camorra che ha sempre
fatto la parte del leone nel settore, con lo smaltimento illegale
protetto dalle autorità, ha continuato indisturbata, alleandosi con
le consorterie politiche, vere associazioni a delinquere, che
pensano unicamente a spartirsi le poltrone all’interno dei vari
consigli di amministrazione dei Consorzi rifiuti, nati come funghi
per soddisfare la brama di potere dei capicorrente.
Primo presidente regionale ad essere nominato fu Antonio Rastrelli
di An, che previde un piano nel quale erano ipotizzati numerosi
termovalorizzatori, ma in seguito, per via dell’approvazione del
decreto Ronchi, vera e propria pietra milare nel tentativo di
difendere l’ambiente, che mutò radicalmente parametri e riferimenti
normativi, il progetto cambiò più volte e nell’ultima versione esso
riteneva necessari 7 impianti di stoccaggio e due inceneritori.
La gara di appalto viene vinta dalla Fibe, un consorzio
imprenditoriale capeggiato dall’Impregilo, di un certo… Cesare
Romiti. Essa nello scegliere i luoghi ove sorgeranno i
termovalorizzatori indica Acerra e Battipaglia, che verrà poi
sostituita da Santa Maria la Fossa.
Bassolino vince le elezioni con un programma nel quale si prometteva
la revoca del commissariamento straordinario e l’opposizione alla
costruzione degli inceneritori, ma dopo la vittoria, diviene lui
commissario e per non dispiacere gli imprenditori progressisti, così
munifici e disinteressati, accetta in pieno l’idea dei
termovalorizzatori.
Aggiudicatasi l’appalto, la Fibe non si premura di far cessare
l’utilizzo delle discariche, oramai esaurite e trascurando
completamente di incrementare la raccolta differenziata, si dedica
alla costruzione degli impianti di produzione delle famigerate
ecoballe.
Nel 2001 la situazione precipita quando la magistratura chiude, per
grave e perdurante inquinamento delle falde acquifere, le discariche
di Tufino e Parapoti, utilizzate dalle intere provincie di Napoli e
Salerno. In pochi giorni la spazzatura sommerse i cassonetti
giungendo ai primi piani delle case, tra un odore pestifero e
miriadi di animali, dagli insetti ai ratti, che si pasciavano beati,
increduli di tanta abbondanza.
La costruzione dei termovalorizzatori non decollava e di conseguenza
le ecoballe dovevano essere stoccate in siti temporanei, sempre più
difficili da reperire per la protesta popolare che cresceva giorno
dopo giorno. Tra l’altro, mancando del tutto la raccolta
differenziata, il contenuto delle ecoballe era troppo umido e
tendeva ad imputridire con l’inevitabile corteo di un lezzo
nauseabondo percepibile a grande distanza.
Gli anni successivi confermano il completo fallimento del tentativo
di uscire dall’emergenza, complici le inadempienze della Fibe e una
pessima gestione politica ed istituzionale, che ha prodotto uno
sperpero di denaro pubblico ed il conferimento di una pletora di
incarichi e di consulenze, soprattutto a professori universitari,
alcuni beneficiari di ben 20 lucrosi contratti consecutivi. Un
finanziamento per la rinascita culturale o un acquisto di cervelli
all’ammasso?
Gli impianti di selezione sono impiegati costantemente al massimo
delle possibilità, per cui basta la necessità di una manutenzione o
un intervento cautelativo della magistratura di fronte ad
un’irregolarità per provocare il caos, con contenitori stracolmi di
rifiuti accanto a chiese e monumenti millenari e sindaci barricaderi
alla testa delle immediate proteste della popolazione appena si
tenta di smistare altrove i camion di spazzatura.
Il 27 marzo del 2005 Bassolino lascia la patata sempre più bollente
della carica di commissario a Corrado Catenacci, già prefetto, che,
protetto dalla scorta, prende il posto di comando in un ufficio con
85 dipendenti al quarto piano di un elegante palazzo di via
Filangieri. Le direttive del governo sono chiare. Pieni poteri a
Catenacci per riaprire le discariche, consorzi guidati da generali
dei carabinieri e prefetti per riattivare la raccolta differenziata
ed al più presto una gara europea per tre inceneritori: Acerra, da
completare, Santa Maria la Fossa ed un terzo impianto nel
salernitano in una località ancora da scegliere.
Con decreto legge il 30 novembre 2005 viene risolto il contratto con
la Fibe, che dal 2000 gestiva l’intero ciclo integrato dei rifiuti e
lo stato di emergenza viene prorogato fino al 31 maggio 2006. Nel
frattempo viene indetto il bando di gara d’appalto con procedura
ristretta ed accellerata per trovare una nuova società che prenda il
posto della Fibe. Un appalto record del valore di 4,5 miliardi di
euro, per intenderci 9000 miliardi delle vecchie lire, inclusa una
concessione ventennale in esclusiva. Un esborso per il contribuente
significatico e che non comprende la raccolta ed il trasporto dei
rifiuti, che in genere costa tre volte più dello smaltimento.
Questo fiume di denaro pare abbia fatto cambiare parere non solo ad
illustri ministri, da sempre contrari ai termovalorizzatori, ma
anche alla camorra, che vede il colossale business con l’acquolina
in bocca, certa di poter controllare fabbricazione degli impianti e
gestione degli stessi, nei quali eventualmente bruciare in futuro
qualsiasi rifiuto.
Il 4 maggio è scaduto il termine per manifestrare interesse alla
gara ed hanno aderito 2 cordate. Da un lato l’Asm di Brescia in
partnership con l’Unione industriali di Napoli, l’Asia, l’Amsa di
Milano e l’Ama di Roma. A contrastare il passo il colosso
multiutility francese Veolia Environnement del gruppo Vivendi.
L’offerta al ribasso va presentata entro il 27 giugno e le buste si
aprono dopo una settimana. L’aggiudicazione non prevede sic et
sempliciter la cifra più bassa, bensì una griglia di parametri,
calcolata in punti, che va dalla migliore modalità di organizzazione
alla gestione del servizio sul territorio. Una circostanza che
sembrava avvantagiare la cordata napoletana, invece tutto si è
concluso con un nulla di fatto.
Il nuovo bando non è piaciuto a Gianni Lettieri, presidente degli
industriali napoletani, che lo ha definito peggiorativo rispetto al
primo, per la “presenza di alcuni passaggi ardui”. Non piace alla
cordata l’obbligo di dover acquistare e ristrutturare i sette
impianti di Cdr e dover individuare i siti di stoccaggio. Il primo
sbarramento viene considerato troppo impegnativo sotto il profilo
finanziario; il secondo, il tentativo di scaricare sulle imprese un
impegno, meglio ancora una rogna, squisitamente politico.
La situazione nella quale comincia il lavoro il nuovo commissario è
per sua ammissione disastrosa. ”Ci siamo dovuti occupare di problemi
molto più grandi di quelli affrontati dai miei predecessori, ma la
Campania non è sola, perchè l’emergenza interessa anche Lazio,
Puglia, Calabria e Sicilia”.“Il programma prevede, oltre agli
inceneritori, sette impianti per allestire le ecoballe di Cdr, il
combustibile ricavato dai rifiuti, localizzati a Tufino, Giugliano,
Caivano, Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia, Casalduno e Piano
d’Ardine. In queste strutture il rifiuto viene trasformato in
combustibile e fos (frazione organica stabilizzata), materiali utili
al ripristino ambientale.
Ma la magistratura, suo malgrado, non permette a Catenacci di
lavorare con serenità. Infatti per osservare alla lettera i
parametri del decreto Ronchi si vede costretta ad un valzer
estenuante di sequestri e dissequestri, interrogatori, acquisizioni
quasi giornaliere di atti e documenti, indagini su i suoi principali
collaboratori; mentre continuano gli incendi dolosi degli impianti,
senza che si riescano ad identificare gli autori.
Paradigmatico del caos in cui è precipitata la situazione è
rappresentata dall’impianto di Tufino, chiuso il 7 giugno scorso,
riaperto il 1 agosto, sequestrato tre giorni dopo con sette
informazioni di garanzia ai responsabili per incendio doloso, anche
se il gip, nel confermare il blocco della struttura, derubrica
l’ipotesi di incendio doloso, sembra si sia trattato di
autocombustione… E’ necessario l’intervento diretto del governo ed
un monito del Presidente della Repubblica per bloccare le dimissioni
del commissario e dei suoi collaboratori.
Un nuovo colpo di scena, foriero di clamorosi sviluppi, risale a
pochi giorni fa con la conclusione delle indagini della Procura di
Napoli sulla gestione dell’emergenza rifiuti in Campania, che vede
tra gli indagati nomi eccellenti, tra i quali spicca quello di
Bassolino commissario straordinario all’epoca dei fatti contestati.
Il presidente regionale, nell’inchiesta condotta dai pm Giuseppe
Noviello e Paolo Sirleo, si è visto notificare le seguenti ipotesi
di reato: abuso d’ufficio (323 c.p.), frode in pubbliche forniture
(356 c.p.), truffa aggravata (640 c.p.) e violazioni ambientali,
rispetto a quanto stabilito dal decreto legislativo 152 del 2006.
Bassolino è in eccellente compagnia, infatti tra i nomi degli
indagati vi sono Raffaele Vanoli, ex vice commissario, i fratelli
Piergiorgio e Paolo Romiti, figli di Cesare e proprietari della
Impregilo, Giulio Facchi, ex sub commissario, Armando Cattaneo,
amministratore delegato della Fibe, Roberto Ferraris, amministratore
della Fisia, Giuseppe Sorace e Claudio De Blasio, tecnici tutt’ora
operativi nel commissariato di governo, oltre ad altri imputati meno
noti per un totale di 28 indagati.
Vogliamo precisare che la notifica agli interessati della
conclusione delle indagini preliminari è atto prodromico alla
richiesta di rinvio a giudizio, che talune volte può non avvenire,
se il magistrato ritiene di archiviare l’inchiesta.
Nel frattempo la data prevista per la fine del commissariamento, col
rientro nei poteri ordinari, è slittata al 31 gennaio 2007, ma se
l’opinione pubblica, resa cosciente della gravità della situazione,
non provoca un’inversione di tendenza, possiamo essere certi che il
collasso del settore ha un luminoso futuro, come sempre a Napoli più
che il problema dei rifiuti esiste il rifiuto dei problemi.
E la dimostrazione lampante della catastrofe nella gestione dei
rifiuti è costituita dalla cronaca degli ultimi giorni con
l’ennesima chiusura di un impianto di Cdr, che manda in tilt il
sistema ed affolla di nuovo le strade di spazzatura, con la ennesima
comunicazione giudiziaria al commissario Catenacci per il presunto
utilizzo irregolare della discarica di Montesarchio, con le
conseguenti reiterate dimissioni irrevocabili dall’incarico (è la
terza volta), con la prospettiva che il bando per il mega appalto
vada deserto!
Le sostanze tossiche scaricate nelle campagne casertane e nei comuni
a nord di Napoli hanno in più punti avvelenato le falde acquifere e
le sorgenti a cui si abbevera il bestiame, dando luogo a rischi non
ancora ben valutati, ma certamente molto alti tra i consumatori di
carne e di latte. Più volte le organizzazioni criminali hanno
venduto micidiali misture come fertilizzanti ad inesperti contadini,
che le hanno sparse sui loro campi e tali sostanze si sono
trasferite nei prodotti della terra, principalmente negli ortaggi.
Le greggi sono state decimate da malattie genetiche ed
intossicazioni da metalli pesanti ed anche la fertilità degli ovini
è quasi colata a picco.
Alle sostanze sparpagliate un po’ dovunque o addirittura
scaraventate direttamente nei pozzi degli agricoltori, si aggiungono
i prodotti della combustione delle centinaia di incendi dolosi, che
periodicamente vengono appiccati alle discariche dalla malavita per
fare spazio a nuova spazzatura. I fumi densi e catramosi, dopo aver
avvelenato l’atmosfera e contribuito in maniera vistosa
all’incremento di malattie respiratorie ed allergiche, si depositano
al suolo e si fissano nel terreno, per poi finire sulla tavola degli
inconsapevoli consumatori dei prodotti più svariati.
Anche le discariche, più o meno abusive, che sembrano a prima vista
una soluzione tranquilla per lo smaltimento dei rifiuti, pur
lasciando in eredità il problema alle generazioni future, sono
pericolose per la salute. Infatti emettono numerosi gas alla
superficie e nella parte inferiore producono una sostanza
altamente inquinante: il percolato, un liquido originato in parte
dalle acque piovane, che si infiltrano tra i rifiuti ed in parte
dalla decomposizione degli stessi. Esso si insinua subdolamente nel
terreno inquinando le acque sorgive.
Anche gli impianti dove parcheggiano enormi quantità di spazzatura
indifferenziata, in attesa di essere incenerita, costituiscono un
serio rischio per la salute e fanno si che la linea di confine del
pericolo tra il trattamento legale e lo smaltimento in discariche
illegali sia sempre più sottile. Situazione percepita più all’estero
che dai mass media nostrani, come dimostra l’attenzione della
Commissione europea che, di recente, ha inviato svariate lettere
d’ammonimento all’Italia, nelle quali venivano contestati ben 28
casi di infrazione delle normative europee sull’ambiente.
In letteratura si susseguono da anni le segnalazioni del concreto
pericolo di malattia nell’area di Caserta e Napoli. Sono studi
epidemiologici, alcuni particolarmente preoccupanti, come i dati
forniti dall’archivio dei tumori dell’Asl 4 di Napoli, che, già dal
febbraio del 2003, segnalava nel distretto 73, corrispondente
all’area orientale della Campania, un considerevole ed
apparentemente ingiustificato aumento della mortalità per cancro del
colon, del retto e del fegato, oltre a quella imputabile ai casi di
leucemia e linfoma. Questa zona è quella dove negli ultimi anni più
frequenti sono stati i casi di smaltimento criminale di rifiuti
tossici. Un’area delimitata dalle cittadine di Acerra, Nola e
Marigliano divenuta tristemente famosa come triangolo della morte.
Una sequenza di centri agricoli rinomati, dove la terra fino a pochi
anni or sono era tra le più fertili d’Europa ed oggi è divenuta
quasi del tutto inutilizzabile.
Un’altra relazione scientifica allarmante è quella pubblicata nel
numero 6 di novembre dicembre 2004 sulla rivista dell’Associazione
italiana di epidemiologia. Essa segnala nell’area oggetto dello
studio, comprendente le città di Giugliano, Qualiano e Villaricca,
in controtendenza al dato generale di una diminuzione della
mortalità totale, un aumento di causa di decesso dovuta a neoplasie,
in particolare tumori polmonari.
Le numerose ricerche scientifiche dimostrano il rapporto sempre più
stretto tra territorio e salute ed oltre al cospicuo incremento
delle neoplasie nell’area contaminata dai rifiuti tossici, si
segnala l’aumento di altre patologie, come nello studio condotto dai
pediatri di Aversa che hanno esaminato il paese casertano di Parete,
comune limitrofo alle discariche di Giugliano. Essi hanno
riscontrato un enorme aumento delle malattie broncopolmonari nei
bambini della zona, dove tra l’altro sono in pericolo gli
allevamenti di bufali, produttori di una mozzarella leggendaria e le
coltivazioni di albicocche, fragole, mele annurche e pesche,
conosciute in tutta Italia e che rappresentano la vera ricchezza di
un’economia a vocazione agricola.
Nel 2005 anche l’Organizzazione mondiale della Sanità, accertatasi
della gravità della situazione, ha condotto uno studio
epidemiologico in collaborazione con istituzioni italiane ed è
giunta alla conclusione che i rifiuti nella nostra regione hanno un
grave impatto sulla salute, producendo un aumento della mortalità e
della morbilità a seguito della presenza nell’aria, nell’acqua e nel
suolo di prodotti tossici e cancerogeni prodotti dall’incenerimento
e smaltimento illegale degli stessi.
Di questi studi si è parlato poco sui grandi quotidiani, mentre un
certo clamore ha interessato la ricerca pubblicata su Lancet
oncology nel settembre 2004 da Alfredo Mazza, un ricercatore del Cnr
di Pisa. Egli, partendo da dati raccolti sulla letteratura
internazionale di un aumento dei tumori, soprattutto al fegato,
nelle popolazioni abitanti nei pressi di discariche, ha constatato
una situazione ben più grave nell’area geografica da lui esaminata,
il territorio circoscritto da Nola, Acerra e Marigliano, conosciuto,
dopo la pubblicazione dei suoi risultati come il famigerato
triangolo della morte.
In alcune località, Calabricito, a poca distanza da Maddaloni,
Marcianise ed Acerra, dove da oltre 10 anni è sotto sequestro una
discarica colma di rifiuti tossici, sono stati riscontrati dai
tecnici della Sogin valori di diossina 100.000 (centomila!) volte
superiori al limite ritenuto pericoloso, non vi è perciò da
meravigliarsi se la diossina è stata riscontrata da esperti della
Sogin e del Cnr persino nel latte materno.
La spazzatura può essere smaltita nelle discariche, può essere
incenerita, può essere trasportata lontano. Può essere inoltre
smaltita in impianti a freddo o gassificata. Ed a queste ipotesi
possiamo aggiungerne un’altra, per il momento utopica, ma verso la
quale bisognerà tendere con tutte le forze: non crearla affatto, la
cosiddetta opzione zero secondo il lessico degli addetti al settore.
Qualunque sia la soluzione scelta, si impone l’opzione della
raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti.
Discariche
La discarica è l’anello finale della catena dove dovrebbero arrivare
i rifiuti che non possono essere riutilizzati, recuperati o
riciclati. Generalmente è costituita da una concavità naturale o da
un enorme fossato artificiale, dove vengono depositati la spazzatura
urbana e tutti quegli altri rifiuti che non possono trovare
utilizzazione, come i materiali di risulta dell’attività edilizia o
gli scarti industriali.
Secondo la normativa europea, alla quale aderisce l’Italia, esistono
tre categorie di discariche:
1) Per rifiuti inerti
2) Per sostanze non pericolose, come la spazzatura urbana
3) Per rifiuti tossici o pericolosi
Le discariche rappresentano il più antico e più economico sistema di
smaltimento dei rifiuti, in grado di risolvere momentaneamente il
problema, che viene trasferito in gran parte ai nostri discendenti,
i quali si troveranno costretti a dover convivere con una quota
sempre più ampia di superficie non utilizzabile, perché occupata a
stipare la spazzatura. In Campania le discariche divorano
letteralmente 30 chilometri quadrati di territorio, per intenderci
un’area estesa quasi dieci volte quella di San Giorgio a Cremano. Ed
ogni giorno la situazione peggiora per le richieste pressanti del
commissario ai rifiuti, che si vede costretto a pretendere, più di
un mitologico mostro famelico, il sacrificio di sempre nuove aree
per stipare le ecoballe in attesa di una soluzione futura. Sono ogni
mese 40.000 metri quadrati di terreno pianeggiante per far
stazionare i rifiuti, una superficie equivalente a cinque stadi San
Paolo messi assieme.
E’ una soluzione economica se la discarica è posta vicino ai luoghi
di produzione dei rifiuti, tenuto conto che raccolta e trasporto
incidono generalmente per il 75% della spesa. Naturalmente si parla
di contenitori che rispettino le norme di sicurezza previste dalla
legge, oggi molto severe, altrimenti la proporzione dei costi è ben
diversa. I cinque sesti dell’immondizia raccolta in Italia negli
ultimi anni è finita nelle discariche a cielo aperto, oramai quasi
tutte stracolme ed esaurite.
Il pericolo maggiore di una discarica è costituito dalla circostanza
che i rifiuti restino attivi per oltre trenta anni, dando luogo, per
la decomposizione anaerobica, verso l’alto a numerosi biogas, che,
se non raccolti, si diffondono nell’atmosfera e verso il basso ad un
liquame (percolato), che può contaminare non solo il terreno, ma
anche le falde acquifere. Alcuni tecnici più pessimisti hanno
addirittura ipotizzato che questo pericolo possa manifestarsi per un
periodo ben più ampio dei decenni.
L’emissione di gas pericolosi nell’atmosfera è molto più alto per le
discariche del secondo e terzo tipo e si tratta di sostanze che
interferiscono nei cambiamenti climatici ed aumentano l’effetto
serra del pianeta, in stridente contrasto alle indicazioni del
protocollo di Kyoto, per cui è assolutamente necessario l’uso di
sistemi di captazione di tali gas, non utilizzabili, a differenza
del metano, che può essere tranquillamente adoperato.
In una discarica normale non sono ammessi i rifiuti liquidi,
infiammabili, esplosivi ed ossidanti, provenienti da cliniche o
ospedali infettivi, i pneumatici, salvo alcune eccezioni e tutte le
sostanze potenzialmente pericolose. Per tutti questi rifiuti
esistono, anche se in numero insufficiente, impianti particolari,
dove confluiscono anche le cospicue quantità di ceneri tossiche
prodotte nei termovalorizzatori, che rappresentano circa il 30%
della massa sottoposta al trattamento.
Per contenere le emissioni nocive e limitare i pericoli gli impianti
a regola devono essere costruiti con delle barriere di vari
materiali per isolare i rifiuti dal terreno e debbono poter
assorbire tutti i gas biologici. Una volta raggiunto il limite di
capienza la struttura deve essere ricoperta, sigillata e rimanere in
osservazione per almeno 30 anni, mentre l’area non può essere
utilizzata, a differenza di tante discariche in Campania, dove sulla
superficie si sono costruite villette ed appartamenti con negozi.
Il decreto Ronchi del ’97 prevedeva la sostituzione delle discariche
con impianti di smaltimento, che avrebbero dovuto favorire il
contenimento dei rifiuti, la raccolta differenziata ed il recupero
energetico.
Bisogna però necessariamente dividere la spazzatura a monte,
educando e convincendo la popolazione a collaborare o a valle,
utilizzando costosi impianti di vagliatura, in grado di separare la
parte umida dalla parte secca. Con questo trattamento è possibile
produrre fertilizzanti (compost) e riciclare carta, vetro e metalli,
oltre ad estrarre biogas. Purtroppo l’interregno tra la chiusura
delle discariche e la costruzione dei nuovi impianti in Campania è
stata particolarmente sofferta ed ha aggravato la cronica e già
grave emergenza, per cui è stato necessario riaprire discariche
sature, prevedere siti di stoccaggio temporanei, col rischio che da
noi il concetto del tempo è estremamente variabile e creare un
numero spaventoso di ecoballe in attesa di un futuro migliore,
contenitori compressi che costituiscono delle potenziali bombe
tossiche, per la presenza di materiale umido soggetto a fenomeni di
putrefazione con relativo aumento volumetrico. I termovalorizzatori
Un termovalorizzatore è costituito da un alto forno che, attraverso
la combustione dei rifiuti, ne riduce notevolmente il volume,
permettendo nello stesso tempo un recupero energetico per scaldare
del vapore da utilizzare per riscaldamento o per produrre energia
elettrica da fornire al gestore della rete nazionale.
La prima proprietà è molto utile perchè può concorrere ad abbattere
notevolmente i danni all’ambiente provocati dai normali impianti
cittadini di riscaldamento, che a volte costituiscono, dove il clima
è particolarmente rigido, il 50% dell’inquinamento. Per quel che
riguarda l’energia elettrica prodotta, bisogna tener conto che il
vantaggio per il gestore dell’impianto è superiore a quello della
collettività, perchè l’elettricità è pagata ad un prezzo politico,
tre volte superiore, di cui si fanno carico i contribuenti.
I termovalorizzatori sono conosciuti in tutto il mondo come
inceneritori, ma da noi si preferisce questa terminologia più soft,
con la speranza che l’impatto psicologico con le popolazioni
limitrofe alle zone dove vengono localizzati sia più morbido. Si
cerca di presentare infatti questi impianti come qualcosa che
trasforma la spazzatura in energia, togliendola nello stesso tempo
dalla circolazione, senza inquinamento e residui di alcun genere, la
favola del fuoco famelico che si mangia tutta l’immondizia.
Naturalmente in natura nulla si crea e nulla si distrugge, per cui
una parte dei rifiuti attraverso la combustione viene immessa
nell’atmosfera sotto forma di gas, una parte, modesta, si trasforma
in energia ed una parte, 30% di peso e 10% di volume, residua come
cenere, che necessita di essere smaltita in discariche speciali.
Il primo inceneritore, denominato destructor, venne realizzato nei
primi anni dell’Ottocento a Manchester, in seguito trovarono
utilizzo in Germania ad Amburgo, mentre i primi due ad essere
costruiti negli Stati Uniti furono realizzati nel 1905 e prevedevano
la produzione di energia elettrica ed il riscaldamento di tutti gli
edifici adiacenti.
Negli anni passati, per la bassa tecnologia, erano strutture
altamente inquinanti, mentre oggi quelli dotati delle più avanzate
metodiche di abbattimento, sono in grado di ridurre, ma non di
eliminare del tutto, i prodotti nocivi della combustione.
Un po’ come è capitato per le automobili, alle quali è stata
dedicata attenzione da parte delle case produttrici in tema di
diminuzione dei gas di scarico. Oggi infatti non possiamo certo
paragonare una scorreggiante Balilla, dal fetido tubo di
scappamento, ad una moderna Bmw ultimo tipo, dalla marmitta
catalitica, in grado di emettere ad ogni accelerazione spruzzi e
sprazzi di afrore paradisiaco, da rammentarci l’eccitante ebbrezza
dello Chanel n5.
L’incenerimento trasforma numerosi materiali ancora potenzialmente
adoperabili, taluni preziosi perchè in esaurimento, in effluenti
(solidi, liquidi o gassosi) assai più tossici dei rifiuti di
partenza ed inutilizzabili, oltre a diffondere nelle zone limitrofe
una serie di sostanze nocive alla salute, dalla diossina ai furani,
che, inquinando l’ambiente: suolo e sottosuolo, acqua ed aria,
colpiscono l’uomo e gli animali attraverso la catena alimentare.
Gli inceneritori tendono inoltre ad innalzare la temperatura
dell’atmosfera, accentuando l’effetto serra, in stridente contrasto
con le pressanti raccomandazioni del protocollo di Kyoto, al quale
l’Italia ha così entusiasticamente aderito.
La costruzione dei termovalorizzatori richiede un grande
investimento di capitali, a fronte del quale si creano pochi posti
di lavoro e non si elimina del tutto la dipendenza dalle discariche
speciali.
In molte nazioni occidentali, dopo aver realizzato un vasto
programma di costruzione di inceneritori si è attivata una massiccia
sensibilizzazione della popolazione verso la raccolta differenziata,
che ha prodotto in pochi anni la chiusura di molti impianti. Un caso
paradigmatico è costituito dalla Germania, dove si incoraggia con
tariffe molto basse l’arrivo di spazzatura dall’estero, pur di
permettere l’utilizzo di termovalorizzatori, che non sono stati
completamente ammortizzati e nel frattempo sono divenuti inutili.
Un termovalorizzatore funziona a pieno regime solamente se vengono
bruciati tra i rifiuti grandi quantitativi di carta e di plastica,
che innalzano il potere calorifico, sostanze che vengono a mancare
in larga misura quando cresce il ricorso alla raccolta
differenziata.
In Italia negli ultimi trenta anni abbiamo assistito ad un
indecoroso aumento nella produzione di spazzatura, segno ineludibile
di una società in preda ad una perversa ansia consumistica, in
aperto contrasto al comportamento dei nostri partners europei ed
alle indicazioni della Ue, che, già dal 1996, prevedeva che la
prevenzione nella formazione dei rifiuti e la drastica riduzione
delle sostanze pericolose dovessero essere degli imperativi
categorici per una corretta gestione del problema nella comunità
europea.
Come sono lontani i tempi in cui è ambientata la nota commedia di
Eduardo De Filippo, nella quale il protagonista, la sera, con un
piccolo cartoccio di pochi etti tra le mani, scende in strada a
depositare la sua quota di spazzatura.
Il programma di costruzione che viene progettato in questi mesi, in
Campania, ma anche nelle altre regioni, si basa sui macroscopici
quantitativi di spazzatura che oggi produciamo: 500 chili pro capite
all’anno, il contenuto di 200 vasche da bagno. Una pazzia alla quale
non si potrà non porre rimedio in breve tempo, pena un disastro
economico ed ecologico. E quando, immancabilmente, attraverso la
raccolta differenziata avremmo ridotto la quota da bruciare, gran
parte dei termovalorizzatori, costati una cifra considerevole, non
serviranno più e dovranno essere dismessi. Anche se la presenza di
tante bocche fameliche e voraci, ansiose di divorare rifiuti,
frenerà le campagne di sensibilizzazione della popolazione.
Come funziona un termovalorizzatore
Le tecnologie dell’incerenimento sono essenzialmente tre: forni a
tamburo rotante, a griglia ed a letto fluido con camera di post
combustione, mentre il funzionamento di un termovalorizzatore può
essere suddiviso in 7 fasi fondamentali:
1- Arrivo dei rifiuti – In genere vengono adoperati rifiuti già
sottoposti ad una selezione preliminare, ma può essere utilizzata
anche la spazzatura tal quale.
2- Combustione – Nel forno alcune griglie mobili facilitano la
mobilità dei rifiuti, mentre una corrente d’aria forzata fornisce
l’ossigeno necessario per raggiungere temperature elevate.
3- Produzione del vapore – Il calore porta a vaporizzare l’acqua
posta a valle nella caldaia.
4- Produzione di elettricità – Il vapore mette in moto una turbina
che trasforma l’energia termica in energia elettrica.
5- Recupero delle scorie – Le componenti che residuano alla
combustione(10% del volume iniziale e 30% del peso) vengono raccolte
a valle dell’ultima griglia, raffreddate in acqua e smaltite nella
discarica.
6- Trattamento dei fumi – I fumi ad alta temperatura passano in un
complesso sistema di filtraggio per ridurre gli agenti inquinanti
più pericolosi, quindi vengono liberati nell’atmosfera.
7- Smaltimento delle polveri fini – Le ceneri che residuano dalla
combustione non sono pericolose, mentre le polveri fini (il 4% del
peso iniziale) sono da considerare molto tossiche e necessitano di
speciali discariche. Conclusioni
Alcune considerazioni finali sono necessarie sulla difficile
problematica: se adottare o meno i termovalorizzatori in Italia,
dove la ricerca differenziata non accenna a decollare.
Bisognerà sempre localizzare gli impianti lontano dai centri
abitati, anche se la scelta è molto difficile per l’altissima
densità abitativa presente su quasi tutto il territorio nazionale.
Non si può altresì dimenticare che numerosi e qualificati studi
internazionali hanno dimostrato che i fumi delle ciminiere ricadono
fino a trenta chilometri di distanza ed Acerra, dove è in fase di
ultimazione l’impianto più grande d’Europa, è ad appena 15
chilometri dal centro di Napoli.
Dimensionare i progetti tenendo conto delle reali necessità delle
zone tributarie, avendo ben presente che, se una campagna di
raccolta differenziata e riciclaggio avesse successo, la quantità di
spazzatura da avviare all’incenerimento si ridurrebbe notevolmente,
rendendo inutili impianti costati cifre iperboliche, che
diverrebbero di colpo un problema di dismissione.
Permettere il funzionamento soltanto ad impianti con tecnologie
ultra moderne, quali la pirolisi e la gassificazione, per ridurre
l’impatto negativo sulla salute dei cittadini. Pro e contro
In favore e contro la costruzione dei termovalorizzatori si sono
schierate da tempo, anche a livello internazionale, due fazioni
contrastanti con pareri diametralmente opposti. Riportiamo le idee
base dei due schieramenti per facilitare il lettore che voglia farsi
una sua idea personale.
I termovalorizzatori producono calore ed energia a basso costo
L’energia elettrica prodotta gode di cospicui stanziamenti pubblici
da parte dello Stato, altrimenti non sarebbe conveniente, in
contrasto a quanto previsto dalle normative europee, motivo per il
quale l’Italia è stata oggetto di una procedura di infrazione da
parte della Ue. Bruciare i rifiuti è un’operazione assai costosa,
tenuta in piedi artificiosamente dal flusso di denaro pubblico che
la finanzia. In Lombardia, ad esempio, la provincia di Brescia,
dotata di un termovalorizzatore, ha il costo pro capite più alto per
lo smaltimento dell’immondizia.
I cittadini debbono addossarsi l’onere dello smaltimento dei rifiuti
accettando l’idea di bruciarli, che è la cosa più pratica e meno
costosa e non comporta un inquinamento superiore ad una qualsiasi
fabbrica e debbono rinunciare al proposito di trasferirli lontano,
una sindrome ben conosciuta nella letteratura anglo sassone, che ha
coniato l’acronimo Nimby (not in my back yard), cioè si ma non nel
mio giardino.
Con gli inceneritori i rifiuti invece di essere posti in una
discarica tradizionale vengono immessi nell’atmosfera sotto forma di
gas ed inoltre residuano dalla combustione una cospicua quantità di
ceneri che debbono essere smaltite con molta cautela.
I termovalorizzatori moderni non rappresentano un pericolo per la
salute di chi vive vicino agli impianti, come dimostra l’esperienza
all’estero di grandi e civilissime città come Vienna, dove sono
stati costruiti in pieno centro abitato.
Purtroppo la letteratura medica a riguardo è di parere contrario, in
attesa di dati sempre più precisi ed aggiornati. Un impianto
tecnologicamente avanzato libera nell’atmosfera circa 250 diverse
sostanze potenzialmente pericolose e di queste soltanto una ventina
sono studiate e monitorabili; a parte le ceneri che sono molto più
pericolose dei rifiuti di partenza e pongono il problema del loro
smaltimento. Alcune sostanze prodotte, anche se in quantità modeste,
dalla combustione dei rifiuti, come la diossina, destano elevata
preoccupazione, perché l’organismo non è in grado di metabolizzarla,
per cui nel tempo può accumularsi nei tessuti in concentrazioni
nocive, dando luogo a svariate patologie, insidiosissime ed ancora
poco note alla scienza.
Bruciare la spazzatura è la soluzione più economica.
Gli impianti hanno un costo elevatissimo e per essere ammortizzati
richiedono di essere utilizzati a pieno regime per almeno venti
anni, inoltre una volta costruiti rendono controproducente la
prospettiva del riciclaggio, perchè carta e plastica costituiscono
il 70% del potere calorifico.
Lo Stato, le regioni ed i comuni si stanno attivando per
sensibilizzare la popolazione alla serietà del problema, allo scopo
di diminuire i rifiuti e di conseguenza gli impianti di
incenerimento.
Attualmente gran parte della spesa pubblica è assegnata alla
costruzione degli impianti, che richiedono grossi investimenti,
pochissime risorse sono destinate ad incrementare il riciclaggio e
quasi niente si spende per la ricerca medica e scientifica.
Il monitoraggio delle sostanze nocive eseguito all’uscita dei camini
di emissione non segnala sostanze tossiche al di fuori dei parametri
previsti dalla legge.
Le apparecchiature non riescono a percepire la presenza di sostanze
pericolose nei gas di scarico perché esse sono diluite in enormi
quantità, ma rivelazioni fatte a poca distanza, nel raggio di alcuni
chilometri, segnalano sostanze tossiche che nel tempo si accumulano.
Va altresì considerato che le normative vigenti sono tarate sulla
possibilità di purificazione dei filtri attualmente in commercio e
non sulle raccomandazioni della comunità medica internazionale.
Gli ambientalisti enfatizzano il rischio di inquinamento nelle zone
limitrofe ai termovalorizzatori.
I comitati ecologici ritengono opportuna una funzione di supplenza
nei riguardi dello Stato e dei mass media, che non operano una
sufficiente informazione sulla delicata problematica, attorno alla
quale gravitano fiumi di denaro e gli interessi della criminalità
organizzata, che nelle regioni meridionali ha sempre gestito la
raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Studiosi autorevoli in Italia ed all’estero ritengono che
l’installazione dei termovalorizzatori non comporta alcun rischio
per la salute dei cittadini e che tali impianti rispondono
pienamente alle norme di sicurezza europee.
Gli scienziati favorevoli all’innocuità degli inceneritori traggono
cospicui vantaggi economici e di prestigio perché possono far parte
dei consigli di amministrazione delle industrie e delle istituzioni,
che controllano il colossale business dell’ambiente, mentre tutti
coloro che sono di parere contrario faticano a farsi strada nella
carriera universitaria e difficilmente hanno accesso agli organi di
informazione.
Le popolazioni limitrofe possono in qualsiasi momento controllare la
situazione dell’inquinamento e se dovesse essere necessario possono
far fermare i termovalorizzatori.
I controlli periodici sull’emissione delle sostanze tossiche sono a
carico delle istutuzioni, di cui è nota negligenza ed
approssimazione. Inoltre esse non sono tenute a rendere pubblici i
risultati delle analisi e non esiste alcuno strumento giuridico in
grado di fermare un impianto, ad eccezione dell’ordinanza di un
magistrato. Nello stesso tempo fermare un inceneritore anche per
pochi giorni rappresenta un cospicuo danno economico.
L’umanità negli ultimi decenni è cresciuta enormemente di numero ed
inoltre è aumentata sempre più la domanda di energia e di risorse
naturali, in contrasto con i limiti naturali del nostro pianeta. E’
oramai evidente che il modello di consumo di un europeo o di un nord
americano non può essere esteso a tutti gli abitanti del terzo
mondo, che costituiscono i 5/6 della popolazione mondiale, senza
andare incontro in brevissimo tempo ad un disastro ambientale di
dimensioni apocalittiche.
E’ necessario adottare stili di vita radicalmente diversi, troncando
la nefasta abitudine del consumismo e cercando in ogni modo di
riciclare e riutilizzare tutto ciò che noi riteniamo rifiuto. Non vi
è più tempo da perdere perchè le trombe di Gerico sono già pronte ad
intonare il loro tragico De profundis.
Si impone una rivoluzione culturale profonda che interessi dai
legislatori ai pubblici amministratori, dai produttori ai
distributori, ma che abbia il suo perno fondamentale nei consumatori
che debbono cambiare mentalità ed abitudine.
Oggi è ritenuto maleducato colui che getta una cartaccia a terra,
fra poco dovrà essere considerato stolto e scriteriato chi
continuerà ad acquistare bevande in contenitori di plastica o
getterà via la carta ed il vetro.
Noi consideriamo spazzatura un oggetto che ha completato il compito
per il quale è stato creato: la bottiglia, i tovaglioli di carta, il
giornale, il sacchetto per la spesa, mentre in natura non esiste il
concetto di rifiuto, bensì una serie di mirabili processi, che
interessano sia il mondo organico che inorganico, attraverso i
quali, con una complessa concatenazione di fenomeni, ogni cosa
rientra in un ciclo successivo.
La pubblicità martellante ed invasiva ci fa credere necessari una
serie interminabile di desideri, vacui ed incomprensibili: il
telefonino la pelliccia, gli abiti alla moda, l’auto ultimo modello
e tante altre cose che per essere prodotte, e dopo poco buttate via,
richiedono energia e consumo di risorse naturali non riproducibili.
Raccolta differenziata
Per riciclaggio si intende l’insieme di tutte le strategie volte a
recuperare i rifiuti per riutilizzarli, evitando o riducendone lo
smaltimento. Non essendo possibile, se non in via teorica,
recuperare ogni componente, il riciclaggio non esclude completamente
l’utilizzo delle discariche o dei termovalorizzatori.
In un sacchetto di spazzatura reperiamo mediamente: 29% di materiale
organico decomponibile, 28% di carta, 16% di materiale plastico, 11%
di polveri e ceneri, 8% di vetro, 4% di metalli, 4% di stracci e
legno.
Di questi materiali quasi il 90% sono riutilizzabili con guadagno
economico diretto, a parte il considerevole risparmio di risorse per
la diminuzione della massa di rifiuti da smaltire.
La raccolta differenziata può essere effettuata direttamente dai
cittadini, attraverso un sistema di raccolta porta a porta, oppure
sfuttando sistemi di separazione in appositi impianti di
smistamento. L’ideale è utilizzare tutte e tre le modalità per
raggiungere una percentuale molto alta di separazione. Attraverso il
riciclaggio si apre un nuovo mercato, in cui piccole e medie imprese
possono trovare facilmente spazio per un’attività produttiva con
impiego di numerosa manodopera e grande sollievo per la
disoccupazione.
In molte nazioni, oltre a massicce campagne di propaganda si cerca
di imporre il riciclaggio attraverso delle leggi, come in Germania,
ove un recente decreto impone ai rivenditori di ritirare gli
imballaggi dei prodotti venduti. In Italia con il decreto Ronchi del
1997 si prevedeva di raggiungere il 35% di raccolta differenziata
entro il 2003, obiettivo purtroppo non raggiunto. Anche nelle
direttive europee si raccomanda vivamente di adoperarsi per la
riduzione dei rifiuti ed un’ottima risposta si è avuta da parte
delle nazioni del nord, dove moltissimi prodotti sono venduti alla
spina, dal dentrificio ai detersivi, con drastica riduzione dei
contenitori a perdere ed un sensibile risparmio sul prezzo, che per
molte merci è un decimo di quello confezionato.
Per rendersi conto dell’importanza di recuperare quanti più
componenti tra i rifiuti bastano pochi dati:
Ogni tonnellata di carta riciclata consente di risparmiare 14 alberi
di alto fusto, 300 -400 tonnellate di acqua e 800 kilowatt di
elettricità corrispondenti a 200 - 300 litri di petrolio. Bisogna
sempre avere in mente che nel mondo, ogni anno, 40.000 ettari di
foresta (una superficie equivalente a 3 -4 grandi regioni italiane)
vengono sacrificati per produrre giornali, libri, manifesti,
imballaggi che, una volta adoperati in gran parte vengono distrutti,
mentre potrebbero essere tranquillamente recuperati.
La plastica merita un discorso a parte perchè, più che per il
recupero della materia prima, abbastanza economica, è importante
recuperarla per il risparmio di petrolio e di energia e per il
considerevole volume occupato nella spazzatura ed inoltre per il
pericolo che, bruciata in maniera non corretta, liberi nell’aria gas
molto dannosi.
Esistono vari tipi di plastica e tra questi solo la Pet è
biodegradabile. In futuro bisognerà per legge obbligare le industrie
ad utilizzare per i contenitori soltanto questo tipo o meglio ancora
la bioplastica, un nuovo materiale di origine vegetale che ha il
vantaggio di produrre una combustione meno inquinante, se incenerita
e di essere degradabile, (attaccata dagli agenti naturali) se
rilasciata nell’ambiente o in una discarica.
Attualmente una busta di plastica viene adoperata per 20 – 30
minuti, per portare merce dal negozio a casa, mentre la natura per
disintegrarla impiega circa 1000 anni!
Per produrre plastiche biologiche si utilizza il mais, coltivabile
nei nostri campi e non il petrolio che viene da lontano ed incide
pesantemente nella bilancia dei pagamenti.
Ogni anno adoperiamo 200.000 tonnellate di gasolio per produrre le
300.000 tonnellate di plastica che consumiamo, vomitiamo
nell’atmosfera 400.000 tonnellate di anidride carbonica, dando un
nefasto contributo all’effetto serra ed al disastro ambientale. A
parte il riciclo nel caso della plastica è facile l’uso ripetuto e
se ogni italiano riutilizzasse due volte una busta di plastica, in
un anno si risparmierebbero 200.000 tonnellate di oro nero.
L’alluminio è adoperato moltissimo come contenitore e può essere
riadoperato all’infinito senza perdere le sue qualità originali.
Quaranta lattine permettono di recuperare un chilogrammo di metallo,
per la cui fabbricazione si adopera un processo altamente
inquinante, oltre al consumo di bauxite, un minerale in esaurimento
e di una quantità di energia corrispondente ad un peso cinque volte
superiore di petrolio.
Il vetro deve essere preferito sempre ai contenitori di plastica,
perché non altera il sapore né l’odore dei cibi e può essere
facilmente riutilizzato o riciclato. Per fabbricarlo occorrono un
elevato consumo sia di energia che di materie prime, oltre alla
distruzione di boschi e monti per aprire nuove cave. Esso
rappresenta una quota significativa (8%) dell’immondizia e se
disperso nell’ambiente impiega 4000 anni per decomporsi. Attualmente
in Italia il 70% del vetro finisce nelle discariche o viene
incenerito, distruggendo in tal modo una considerevole ricchezza.
L’ideale e scegliere bottiglie e barattoli con vuoto a rendere, in
maniera tale che i contenitori possano essere utilizzati
all’infinito, oppure, in ogni caso, riciclare bottiglie frantumate.
Il legno viene prevalentemente adoperato a livello industriale, per
cui difficilmente il cittadino troverà un contenitore apposito per
la raccolta di rifiuti legnosi e dovrà rivolgersi alla ditta
incaricata al prelievo nella propria cittadina. In ogni caso
riciclare il legno significa risparmiare una cosa molto preziosa:
gli alberi.
Le cassette adoperate per contenere frutta ed ortaggi possono e
devono essere utilizzate più volte, restituendole al rivenditore,
fino a quando, divenute inservibili per l’usura vengono inviate ai
centri di raccolta.
I rifiuti organici costituiscono una quota considerevole del
sacchetto (29%) che può essere interamente recuperata. Essi sono
costituiti da tutte le sostanze di origine vegetale o animale:
residui di cucina, scarti di potatura, ecc. Se vengono smaltiti
nelle discariche producono grandi quantità di percolato, che abbiamo
visto crea grossi problemi, se bruciati richiedono costi elevati e
se rimangono a fermentare nell’ambiente danno luogo a cattivi odori.
Di conseguenza è quanto mai opportuno trasformarli in una sostanza
utile attraverso il compostaggio, un processo biologico attuato da
microrganismi che, nutrendosi della sostanza organica, ne causano la
decomposizione, producendo una sostanza simile all’humus. Il
prodotto ottenuto, detto compost, può essere utilizzato validamente
per sostituire i normali concimi chimici, in quanto ricco di
minerali e sostanza organica. In agricoltura questa tecnica viene
adoperata per restituire al terreno i componenti che sono andati via
con il raccolto ed assume un’enorme valore, perché evita il ricorso
ai fertilizzanti, sfruttando il meccanismo naturale di riciclo delle
sostanze organiche.
Ciò che avviene in natura è un esempio mirabile di come non esistano
sostanze che possano essere definite rifiuti: le piante dall’aria e
dalla terra, attraverso le radici, assorbono una serie di sostanze
inorganiche, quali acqua, anidride carbonica, nitrati e fosfati e
grazie alla luce solare le trasformano in sostanze organiche come
zuccheri, grassi e proteine, indispensabili alla crescita degli
esseri viventi. Una volta morti, animali e vegetali vengono
attaccati da parte di batteri e funghi, che danno luogo a energia e
materie prime, tra cui di nuovo le sostanze inorganiche necessarie
alle piante, chiudendo un percorso circolare.
Per via naturale il compostaggio richiede circa 8 – 12 mesi, ma con
alcuni artifici è possibile accelerare il processo a 15 – 45 giorni,
ottenendo da un chilogrammo di spazzatura 300 grammi di compost.
E’ una tecnica che chiunque possieda un giardino o dello spazio può
mettere in pratica, contribuendo vistosamente a risolvere il
problema dello smaltimento dei rifiuti ed avendo la soddisfazione di
produrre ricchezza, perchè il compost sostituisce i concimi e può
trovare utilizzo anche come materiale inerte utile per impieghi
geologici di vario genere.
Si possono utilizzare gusci d’uovo, fondi di caffé o tè, scarti di
frutta e verdura, ceneri di legna, alimenti deteriorati, ossa di
animali, lische di pesce, foglie, fiori appassiti, piccoli rami ecc.
Tutto questo materiale può essere raccolto in un apposito
contenitore, oppure in giardino si può formare un cumulo, o
sistemare il materiale in una buca nel terreno. Ogni tanto con un
forcone è opportuno rivoltare almeno la parte superficiale per
favorire il ricambio d’aria ed alla fine la soddisfazione di aver
creato, seguendo l’esempio della natura, qualcosa di utile dai
rifiuti è molto gratificante.
Tra la spazzatura esistono poi una serie di sostanze pericolose, che
vanno separate, non tanto in vista di un recupero, ma per evitare
che, abbandonate nell’ambiente o mescolate ad altri elementi,
possano inquinare per periodi molto lunghi, contaminando la catena
alimentare fino all’uomo.
Bastano a volte piccole quantità per provocare danni irreparabili,
ad esempio 5 litri di olio per auto (il quantitativo di un cambio in
una media cilindrata) sono in grado di danneggiare 5.000 metri
quadrati di mare, deponendosi sulla superficie ed impedendo
l’ossigenazione.
Le sostanze più pericolose sono: pile esaurite, medicinali scaduti,
batterie delle auto, oli minerali, pneumatici, materiale di risulta
edile, toner ed accessori per l’informatica, ecc.
Le pile anche quando sono scadute contengono sostanze fortemente
inquinanti quali, cromo, cadmio, rame, zinco, ma soprattutto
mercurio, che se raggiunge l’acqua è in grado, con un grammo, il
contenuto di una pila, di inquinarne 1000 litri. Non possono essere
riciclate né bruciate, ma devono essere sottoposte ad uno speciale
trattamento che le rende inerti. Esse vanno raccolte in speciali
cassonetti situati spesso vicino alle tabaccherie.
I farmaci scaduti presentano un pericolo simile a quello delle pile,
anche se più variegato, per la varietà di sostanze attive in grado
di legarsi al terreno o sciogliersi in acqua. Vanno raccolte in
contenitori presenti presso tutte le farmacie e bruciate in un
apposito forno.
Le batterie delle auto sono costituite per metà di piombo, un
metallo infido perché tende ad accumularsi negli organismi viventi,
causando gravi intossicazioni ed avvelenamenti. Inoltre in una
batteria sono presenti acidi corrosivi molto pericolosi. Esse non
vanno mai gettate in un cassonetto e neppure sul terreno, ma vanno
consegnate ai rivenditori, che hanno l’obbligo di portarle nei
centri di raccolta, dove il piombo può essere riciclato, eliminando
la sua pericolosità come rifiuto e risparmiando una preziosa riserva
naturale e l’energia per produrlo.
Gli oli minerali usati dai motori di auto, camion e motociclette
rappresentano un consumo di 600.000 tonnellate all’anno, delle quali
un terzo resta come residuo. Attualmente gran parte di questo scarto
viene raccolto e riciclato, ma mancano all’appello 30.000
tonnellate, che vengono disperse nell’ambiente con gravi danni.
Bisogna far sì che tutti gli automobilisti che eseguono il cambio
dell’olio da soli per risparmiare, portino quello vecchio presso i
distributori, che hanno l’obbligo di riceverlo. In tal modo questi
scarti possono venir lavorati e trasformati in lubrificanti di alta
qualità.
I pneumatici possono essere adoperati più volte se sottoposti ad un
procedimento speciale chiamato rigenerazione. Altrimenti possono
venir riciclati nelle componenti dell’asfalto, nei respingenti delle
barche o nei cavi isolanti. Non vanno bruciati e se non utilizzati
vanno raccolti in speciali discariche.
I materiali di risulta dell’edilizia, anche se derivati da piccole
riparazioni casalinghe, non vanno mai gettati nei cassonetti, ma
portati in appositi centri, che operano una prima selezione. In
seguito vengono frantumati e riutilizzati nuovamente nell’edilizia.
Il toner è l’inchiostro contenuto in apposite cartucce utilizzate in
stampanti per fax e computer. Esso può essere ricaricato più volte,
con notevole risparmio ed infine conferito in centri specializzati
dove, ripulito dell’inchiostro, viene rinviato al riciclaggio.
L’eventuale dispersione nell’ambiente, alla pari di altri accessori
per la informatica è molto pericolosa per l’estrema tossicità delle
sostanze.
Uffici ed aziende possono richiedere gratuitamente in dotazione
dalle ditte produttrici un contenitore dove introdurre cartucce e
toner esauriti, che viene ritirato periodicamente a richiesta
dell’utente.
A parte vanno considerati i rifiuti ingombranti costituiti da
materassi, televisioni, frigoriferi mobili ecc, che per le loro
dimensioni non entrano nei cassonetti né devono essere depositati
vicino ad essi. In molti comuni è previsto un servizio di raccolta
domiciliare gratuita previo appuntamento telefonico, che li
trasporta presso centri dove si ricavano i metalli riciclabili ed il
legno.
Vestiti, vecchi giocattoli ed altri oggetti passati di moda, ma
ancora utilizzabili, vanno depositati presso i contenitori che
periodicamente gli Enti di beneficenza ed assistenza predispongono
per vendere il possibile e destinare il ricavato a scopi sociali e
distribuire gli indumenti usati ai poveri.
Cambiare freneticamente vestito, automobile, arredamento è
un’abitudine schizoide che da anni ha preso il sopravvento nel mondo
occidentale ed anche nei paesi emergenti, come la Cina, sta
divenendo la regola. Martellati dalla pubblicità, aizzata da un
sistema industriale che necessita di vendere continuamente gli
oggetti che costruisce, acquistiamo senza sosta prodotti ai quali
non ci affezioniamo, come capitava una volta, quando i mobili, ma
anche un maglione o le suppellettili della cucina, ci accompagnavano
lungo il percorso della vita.
Le fabbriche hanno da tempo capito che gli oggetti debbono
funzionare per poco tempo e non avere possibilità di essere
riparati, per costringerci ad acquistarne continuamente di nuovi.
Invece di procurarci benessere questo perverso meccanismo ci produce
unicamente ansia ed angoscia.
Giovenale, il sommo poeta latino, in periodo di decadenza dei
costumi, osservò acutamente che i Romani, dopo aver conquistato il
mondo, non possedevano neanche un pezzo di terra. Una situazione
paragonabile a quella attuale in Occidente, dove i cittadini sono
semplicemente meri utilizzatori di oggetti, che scorrono via
rapidamente senza identità. Un precario trasformatore di prodotti in
rifiuti e della natura in un’immensa cloaca.
Da anni il WWF ha individuato in questo comportamento ottuso la
causa del nostro malessere e dell’insolubile problema dello
smaltimento dei rifiuti e dell’esaurimento delle risorse naturali
del pianeta. Esso consiglia vivamente una filosofia di vita basata
su quattro imperativi categorici da rispettare, denominato
sinteticamente come filosofia delle 4R, dalle iniziali dei quattro
comandamenti: riduci, ripara, riusa, ricicla.
Al raggiungimento di questo obiettivo devono lavorare insieme
industrie, istituzioni, commercianti e consumatori.
Le aziende devono ridurre drasticamente tutti gli imballaggi
superflui, molti sono unicamente decorativi, sostituendoli con vuoti
a rendere, non soltanto per i generi alimentari.
Le istituzioni, dallo Stato ai singoli comuni, devono prevedere, nel
piano di smaltimento dei rifiuti, al primo posto la riduzione della
spazzatura ed in seconda battuta, raccolta differenziata e
riciclaggio e solo alla fine incenerimento o deposito in discarica.
I commercianti devono proporre ai consumatori prodotti in
contenitori a rendere, come il vetro, consegnare il più possibile a
domicilio, utilizzando imballaggi riutilizzabili, predisporre la
vendita alla spina di quanta più merce è possibile, abitudine molto
diffusa all’estero, che permette di abbattere drasticamente il costo
di numerosi prodotti.
I consumatori devono acquistare oggetti ben fatti, averne cura, per
farli durare a lungo, senza andar dietro all’ultimo modello.
Indirizzare le loro scelte verso merci prive di imballaggio o con
vuoti a rendere. Portare sempre con sé la vecchia quanto
insuperabile borsa della spesa, in grado di far risparmiare montagne
di plastica. Scegliere prodotti confezionati localmente, per evitare
trasporti a grandi distanze con relativo inquinamento. Consigliare
quei negozi che si attivano per la vendita di merci con vuoti a
rendere e dei prodotti sfusi senza alcun imballaggio.
Diffondere tra i conoscenti la necessità di una sensibilizzazione
generale sull’argomento ed appoggiare le organizzazioni
ambientaliste.
Nuove tecnologie Un recente orientamento di alcune associazioni ambientaliste,
allo scopo di evitare la costruzione degli inceneritori, è quello di
favorire la conoscenza di nuove tecnologie più rispettose della
salute dei cittadini. Sono metodiche di recente elaborazione,
bisognose ancora di sperimentazione, ma i primi risultati sono molto
promettenti, in particolare per la gassificazione, inoltre è
necessario descrivere anche il processo di pirolisi ed il
trattamento a freddo. Generalmente per gassificazione si intende un
processo chimico o termico usato per trasformare una sostanza in un
gas.
Essa consiste in un processo di combustione ad elevata
temperatura(tra 900 e 1000 gradi) dei rifiuti senza necessità di una
selezione preliminare. Grazie all’immissione di una modesta quantità
di ossigeno si fa partire un processo di ossidazione completa degli
elementi da bruciare. La componente organica viene ridotta ad un gas
combustibile di basso potere calorifico (chiamato gasogeno), mentre
la frazione inorganica viene trasformata in un residuo solido
inerte. Il gas di sintesi prodotto, dopo essere stato raffreddato e
depurato, può essere utilizzato, in un ciclo a combustione interna,
per la produzione di energia elettrica.
La gassificazione abbatte drasticamente l’emissione di sostanze
nocive, quali le diossine, molto al di sotto dei limiti imposti
dalla legge nei paesi più severi. Per questo, rispetto alle
tecnologie tradizionali, che utilizzano forni a griglia, la nuova
metodica dà migliori risultati nella riduzione dell’immissione
nell’atmosfera di sostanze nocive. Inoltre i residui prodotti dal
processo costituiscono un minerale granulare inerte, che non deve
essere smaltito in discarica, ma può essere utilizzato come
sottofondo nella pavimentazione stradale.
Attualmente in Malesia si sta costruendo un impianto di
gassificazione grande quanto il futuro termovalorizzatore di Acerra,
sull’onda dell’orientamento del Giappone, che, dopo aver costruito
in 6 anni 80 impianti per incenerimento, si sono ora orientati sul
processo di gassificazione, una tecnologia meno inquinante ma
bisognosa di misure di sicurezza particolarmente rigorose.
La pirolisi consiste nella degradazione termica dei materiali
attraverso il calore in assenza totale, o in presenza molto
limitata, di ossigeno. In un impianto di pirolisi i materiali
vengono riscaldati fino ad una temperatura oscillante fra 425 e 760
gradi Celsius e la mancanza di ossigeno ne previene la combustione.
Tuttavia, data l’impossibilità di eliminare totalmente l’ossigeno si
verificano fenomeni di ossidazione che portano alla formazione di
diossina e di altri composti pericolosi correlati. Dalla pirolisi si
ottengono tre prodotti: gas, olio combustibile ed un residuo solido
chiamato residuo di carbonizzazione, che può contenere metalli
pesanti.
Il trattamento a freddo è un sistema di gestione dei rifiuti residui
alla raccolta differenziata. Esso consiste nel ridurre il volume del
materiale in vista dello smaltimento finale e di stabilizzarlo, in
modo tale che venga minimizzato il potenziale sviluppo di gas e la
formazione di inquinanti. Il trattamento a freddo viene esaltato se
posto a valle di un buon sistema di differenziazione dei rifiuti. La
frazione secca riciclabile viene separata meccanicamente, mentre
quella biodegradabile viene trattata biologicamente.
Impianti piloti sono quelli di Amiens, in Francia, dove si recupera
il 90% del materiale trattato e quello di Sidney, in Australia,
realizzato nel 2004, anche esso in grado di massimizzare il riciclo
di risorse preziose.
Nei paesi in via di sviluppo la quantità di rifiuti ha raggiunto,
negli ultimi anni, livelli altissimi, per via della popolazione in
continuo aumento, della migrazione dalle campagne verso le città,
per i nefasti effetti della globalizzazione, che hanno reso
ubiquitari i modelli di consumo occidentale e per il proliferare
delle confezioni monouso. Le discariche, generalmente niente più che
ammassi di rifiuti a cielo aperto, sono stracolme e la dilatazione
dei confini delle città limita sensibilmente la possibilità di
crearne di nuove. Molte nazioni guardano con interesse alla
possibilità di incenerire i rifiuti, una tecnologia che presenta
numerose problematiche e che i paesi più evoluti si avviano ad
abbandonare. Le alternative hanno un costo inferiore, forniscono
maggiori posti di lavoro e determinano un minore inquinamento. Per
questo in tutto il mondo sta acquistando sempre maggiore consistenza
il movimento Rifiuti zero che promette una cospicua riduzione dei
rifiuti prodotti.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, un obiettivo
che richiederà tempo e volontà per essere perseguito, ma così come
un viaggio lungo migliaia di chilometri inizia con un singolo passo,
anche questa opzione si avvia lentamente, ma inesorabilmente e può
avere successo anche nel Sud del mondo, dove il materiale organico
rappresenta il maggior componente del flusso dei rifiuti.
Per raggiungere e consolidare l’obiettivo sono utili alcune
iniziative per avviare il processo a livello locale:
1- Adottare di un programma di smaltimento dei rifiuti che non
preveda l’incenerimento.
2- Decentralizzare la gestione dei rifiuti facendo affidamento sulle
iniziative delle comunità locali ed utilizzando risorse indigene.
3- Tenere separati i materiali da riciclare per preservarne la
qualità.
4- Dare impulso al compostaggio, che rende il progetto appetibile
dal punto di vista economico.
5- Rendere la partecipazione al programma conveniente e
significativa.
6- Istituire, se necessario, un sistema di incentivi economici.
7- Approvare o promuovere politiche e normative che migliorino
l’ambiente.
8- Sviluppare un mercato per i materiali riciclati possibilmente a
livello locale.
9- Impegnarsi per responsabilizzare i produttori relativamente a
tutto il ciclo di vita dei loro prodotti.
10- Educare il più possibile gli utenti diffondendo la nuova
filosofia sui mass media, negli ambienti lavorativi e nella scuola,
inculcando il concetto che l’Opzione zero protegge l’ambiente, crea
posti di lavoro e rafforza le economie locali e regionali.
L’obiettivo prefisso non costituisce una fascinazione impossibile da
raggiungere, ma l’unica via da percorrere per salvare l’ambiente e
la società; è però necessario attivarsi, attualmente infatti in
Italia si ricicla solo il 18% della spazzatura, mentre il decreto
Ronchi imponeva agli enti locali di raggiungere almeno il 35% entro
il 31 dicembre del 2003. Bisogna decidersi ad incoraggiare la
raccolta porta a porta, l’unica modalità seria per raggiungere
percentuali significative, fino a quando la collaborazione dei
cittadini non aumenterà.
E’ importante uscire dalla logica aberrante di bruciare tutto o
seppellire tutto, per ripartire con un nuovo modello di produzione e
di consumo, in definitiva un nuovo progetto di sviluppo; solamente
così sarà possibile uscire dalla trappola in cui siamo caduti.
Nel XXI secolo la nostra prospettiva deve mutare radicalmente:
l’obiettivo non deve essere più come smaltire i rifiuti, ma smettere
di produrne.
Con la scoperta del fuoco l’uomo ha imparato a cucinare i cibi,
compiendo un sensibile progresso nell’evoluzione; oggi, viceversa,
brucia le risorse, precipitando rovinosamente all’indietro verso la
preistoria.
L’incenerimento deve diventare un triste ricordo del passato, come
dimostra l’esperienza degli Stati Uniti e della Germania, e non una
soluzione del futuro come blaterano i nostri scriteriati politici,
di destra e di sinistra.
Non ha alcun senso spendere enormi quantità di denaro per
distruggere risorse da utilizzare in futuro.
La strategia di ridurre i rifiuti drasticamente è portata avanti da
anni in Canada ed in Australia, in Nuova Zelanda ed in molte grandi
città degli Stati Uniti. In breve si è giunti ad una diminuzione
della spazzatura di oltre il 50%. In tutti i supermarket sono stati
installati dispositivi di erogazione al minuto di shampoo,
detergenti, acqua e vino, tenendo lontani così dalle discariche
milioni di contenitori di plastica.
Questo nuovo verbo è portato in giro per il mondo da un novello
profeta Paul Connett, professore di Chimica della St. Lawrence
University dello Stato di New York, il quale, infaticabile, pubblica
il celebre bollettino Wast not (Rifiuti zero) ed ha visitato 50
nazioni, tra cui l’Italia, tenendo conferenze sull’argomento. Egli
propugna una facile ricetta: eliminare inceneritori e discariche,
convincendo le industrie a produrre soltanto materiali riciclabili
ed ama citare a tal proposito una celebre frase di Albert Einstein
”Un uomo intelligente risolve i problemi, il genio li evita”.
L’illusione che più si consuma, più si è felici, che l’America ha
esportato in tutto il mondo, si sta rivelando una trappola infernale
per il futuro dell’umanità. La perversa filosofia dell’usa e getta
ci sta conducendo verso l’apocalisse planetaria. Noi ci comportiamo
come se avessimo un altro pianeta disponibile dove poterci
trasferire se dovesse essere necessario, eventualità che secondo il
WWF avverrà non più tardi del 2050. Gettando via tutto alla fine
tutte le risorse si esauriranno, ce ne stiamo accorgendo oggi con il
petrolio, ma quanto prima dovremo confrontarci con un’emergenza
ancora più assillante: la carenza di acqua, che diverrà un bene
prezioso, per il quale si scateneranno guerre ed a soffrire, come
sempre, saranno i più poveri, gli ultimi della Terra.
Per raggiungere l’obiettivo, oltre ad educare la comunità, è
necessaria la collaborazione dell’industria che, attraverso
incentivi economici o obblighi legislativi, eviti di fabbricare
prodotti che non possano essere riciclati. Il nostro compito in
futuro non sarà quello di perfezionare i metodi di distruzione, ma
di migliorare i metodi di produzione per puntare verso una società
più sostenibile.
Il cambiamento di rotta ed una maggiore coscienza ecologica comincia
a farsi strada anche tra le multinazionali ed un esempio positivo di
responsabilità industriale da segnalare è il comportamento della
Xerox, che da tempo sta recuperando tutte le vecchie fotocopiatrici
e le sta portando in depositi in Olanda, dove vengono smontate in
parti riutilizzabili raggiungendo l’obiettivo di un 95% di
riciclaggio.
I margini di beneficio di un comportamento conservatore… sono
illimitati, infatti la Scuola agraria di Monza ha calcolato che,
anche se ogni famiglia italiana si fosse impegnata totalmente nella
raccolta differenziata dei rifiuti organici per fare il compost,
quello ottenuto non sarebbe ancora sufficiente a far fronte alle
esigenze di concime in Italia.
Sia gli imprenditori che i lavoratori debbono rendersi conto che
viviamo senza accorgercene una terza rivoluzione industriale e
soltanto un uso più razionale delle materie prime e dell’energia
consentirà la sopravvivenza degli affari e del lavoro.
Gli standard di qualità delle merci, in una società sostenibile,
debbono essere basati sui principi di maggiore durata, più lunga
vita utile ed ampia possibilità di riutilizzo e di riciclo.
Purtroppo l’accettazione di norme di qualità cozza contro il
perverso andamento della civiltà dei consumi, vincolata al credo
della produzione di merci sempre meno durature, al successo di mode
effimere di oggetti usa e getta e di un mercato che spinge verso una
continua produzione senza alcuna preoccupazione per il futuro.
Bisogna agire in fretta e con la massima decisione, un ritardo di
cinque anni ci costringerebbe a fare i conti con una massa di
rifiuti (cemento, ferro, plastica, imballaggi, carta, scarti
alimentari e conciari, ecc.) aumentata di un altro mezzo miliardo di
tonnellate, una valanga in grado di travolgerci e se i governi del
mondo continueranno ad ignorare la gravità del problema, sarà
necessario far nascere e crescere un movimento di liberazione dai
rifiuti.
Epilogo
Napoli crocevia dei rifiuti
In questi ultimi anni Napoli, antica e gloriosa capitale, è
diventata triste metafora del declino del Paese, assurgendo a
crocevia kafkiano dei rifiuti: innocua spazzatura locale che viene
mandata in giro per l’Italia e per l’Europa, accolta con supponenza
dal nord ricco ed industrializzato, respinta dal Veneto leghista e
gradita ai tedeschi, che si trovano gli inceneritori sotto
utilizzati e prossimi alla dismissione, mentre per anni decine di
migliaia di rifiuti tossici pericolosissimi sono giunti in Campania
provenienti da Milano, dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia e da
tutte le zone dove sono concentrate le fabbriche metallurgiche, le
centrali termoelettriche, le concerie e gli stessi inceneritori,
obbligati a liberarsi delle temibili ceneri residue, pari ad un
terzo del materiale sottoposto a combustione.
La Campania, ieri felix oggi infelix, non riesce a smaltire la sua
spazzatura di serie B, che giace per settimane per le strade, ma ne
accoglie tanta, ignara, di serie A, proveniente dalle regioni che
contano economicamente e politicamente, mentre l’ideologia surroga
la competenza, alimentando l’audacia criminale.
Da Napoli parte ed a Napoli arriva.
Parte per l’insipienza di una classe politica inetta e corrotta, che
non ha saputo e non ha voluto risolvere il problema.
Arriva per una malavita organizzata che, indisturbata, ha gestito un
traffico criminale, in grado in quattro anni di riversare nelle
tasche dei clan 44 miliardi di euro ed un milione di tonnellate di
rifiuti solo a Santa Maria Capua Vetere, mentre 18.000 tonnellate di
sostanze tossiche, provenienti dalla civilissima Brescia, patria del
più moderno termovalorizzatore d’Europa, hanno invaso, impestandolo,
il casertano.
E mentre questo traffico impazzito continua i cittadini, a scadenze
ravvicinate sono obbligati a convivere tra i tanfi ed i fetori della
monnezza, accumulata ad ogni angolo ed a fare zapping tra i cumuli
in fermentazione ed i ratti increduli di poter partecipare in massa,
non invitati, al ghiotto pasto.
Dobbiamo augurare ai politici, ai quali spetta il compito di
scegliere una corretta gestione dello smaltimento della spazzatura,
di decidere con saggezza e lungimiranza, tutelando innanzitutto la
salute dei cittadini ed inducendo una radicale inversione di
tendenza, una vera e propria rivoluzione culturale, nella produzione
e nel riciclo dei rifiuti, che invadono sempre più l’ambiente,
trasformandosi in una mina vagante per i più ed in una miniera d’oro
per pochi.