La più importante mostra di
pittura dell’anno si sta attualmente svolgendo a Milano nelle sale del Palazzo Reale dove, fino al 6 febbraio, sono
esposti alcuni massimi capolavori del sommo artista,
accompagnati da oltre 200 tele di caravaggeschi, che arsero al
sacro fuoco del Maestro. E’ una occasione unica per poter
ammirare ed operare confronti tra artisti di varie nazioni, in
gran parte presenti a Roma nei primi tre decenni del Seicento.
La rassegna è stata preceduta da una capillare indagine
archivistica nei registri sullo stato delle anime delle 70
parrocchie attive all’epoca a Roma, riuniti oggi presso la
sede del Vicariato, lavoro che ha permesso di conoscere una
massa di dati biografici inediti su tutti gli artisti, oltre
2000, presenti nell’Urbe dal 1600, anno di un memorabile
Giubileo, al 1630. Questa massa di informazioni, oltre ad una
ampia catalogazione fotografica, sarà fra breve disponibile
sul web e se ne avvantaggeranno non solo gli studi sul
caravaggismo, ma anche quelli sulle altre correnti pittoriche
in auge in quegli anni.
fig.1
Appena giunto nella città dei papi il Merisi (fig. 1)
produsse con le sue opere una sorprendente rivoluzione e, pur
non avendo una bottega e degli allievi, ebbe un seguito
imponente ed il suo verbo si diffuse in tutta Europa. Egli
preleva i suoi modelli dalla strada e li rende con un tale
realismo che spesso le sue tele vengono rifiutate dai
committenti perchè mancano di decoro. Introduce il
chiaroscuro, con personaggi che compaiono dal buio,
risplendendo di un biancore stupefacente. Corpi che sono la
proiezione sulla tela della vita, che si svolge con delle
leggi che spesso danno l’impressione di negare Dio, anche
nell’iconografia religiosa.
Ed in questo, come ha sottolineato Vittorio Sgarbi, curatore
della mostra, anticipando in pittura l’assioma di
Wittgenstein. I suoi personaggi recitano un teatro del dolore,
immanente e spontaneo, di una modernità sconvolgente, alla
Kantor, ben differente da quello dove recitano i personaggi di
Orazio Gentileschi, uno tra i suoi più famosi seguaci, che,
più anziano del Merisi, accoglie nel suo repertorio le
innovazioni luministiche, ma da grande regista, le coordina
nello spazio con un gusto già maturo e debitore della
tradizione cinquecentesca. A differenza della figlia Artemisia
che di Caravaggio apprezzò e trasferì nelle sue tele il
compiacimento per le scene tragiche e cariche di drammaticità,
affermandosi come la più grande pittrice italiana di tutti i
tempi (fig. 2).
fig.2
Su Caravaggio ed i caravaggeschi organizzò una memorabile
mostra, proprio a Palazzo Reale nel 1951, il Longhi, al quale
si deve la riscoperta dell’artista, caduto in un
inspiegabile oblio già dalla metà del Seicento. Tra i
seguaci un posto di rilievo è occupato nella mostra dal
Ribera, del quale viene proposta anche un’interessante,
quanto discutibile, aggiunta nel catalogo, attribuendo al suo
pennello le tele classificate fino ad ora sotto il nome di
convenzione di Maestro del Giudizio di Salomone, ritenuto per
anni un caravaggista nordico attivo prevalentemente a Roma
intorno al 1620. Al di là di questa diatriba tra specialisti,
il Ribera, spagnolo di nascita, ma napoletanissimo di
adozione, produce un realismo di grande spessore e corporeità,
che non lascia spazio all’anima, prelevando letteralmente
dal bergamasco la predilezione per il peccato, la caducità
della carne, la morte (fig. 3). E’ a Roma per alcuni anni,
dal 1616 si trasferirà a Napoli, dove vivrà e lavorerà fino
alla morte nel 1652 ed avrà un epigono nel misterioso Maestro
dell’Annuncio ai pastori, precursore di secoli della
questione meridionale e riconoscibile per il suo tremendo
impasto, pregno di rabbia e di materia cromatica.
fig.3
Tra gli altri napoletani presenti nella rassegna ricordiamo
Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, Carlo Sellitto e
Filippo Vitale ed infine il Preti, al quale è dedicata grande
attenzione, perchè con il Cavaliere calabrese, morto nel
1699, il caravaggismo raggiunge il suo limite temporale, anche
se nell’ultimo periodo l’artista preleva dai pittori
veneziani l’attenzione al colore, per cui rischiara la
tavolozza ed immerge le sue storie in complesse scenografie
con numerosi personaggi. Negli anni d’oro seppe derivare
sapientemente dai moduli del Merisi iconografie di grande
successo ed ecco la lunga serie di incontri, di cene, di
ambientazioni in osterie.
Tra i seguaci italiani sono adeguatamente rappresentati Carlo
Saraceni, che opera una mirabile fusione tra la forza plastica
del Merisi e la densità cromatica della sua patria veneziana
e Bartolomeo Manfredi, dai moduli compositivi talmente
caratteristici che ne deriverà la cosiddetta manfrediana
methodus (fig. 4). Ed inoltre Tanzio da Varallo, intriso di
cultura lombarda, appena sfiorata dall’aria romana, con una
visione della realtà estranea alla scioltezza e alla modernità
del Caravaggio. Emuli del gran lombardo saranno inoltre, in
Toscana, Pietro Paolini, originario di Lucca, “che si muove
tra allegorie e stregonerie in dialogo con il capriccioso
Angelo Caroselli ed a Siena Rutilio Manetti, che coniuga
caravaggismo e sensibilità barocca con esiti di sorprendente
ricchezza” (Sgarbi).
fig.4
Tra gli stranieri, ben rappresentati i francesi Simon Vouet,
(fig. 5) uscito dalla lezione della manfrediana methodus, che
lascia a Roma immortali capolavori in San Lorenzo in Lucina e
in San Francesco a Ripa e Valentin de Boulogne, specializzato
in un genere che va dal meraviglioso al malinconico,
assemblando con consumata abilità molti personaggi tenuti
assieme con ritmo ed unità (fig. 6).
fig.5
Dall’Olanda giunge Gherardo delle Notti, che amplifica gli
effetti luministici del francese Georges de La Tour con
originali ambientazioni notturne derivate dalla lezione del
Caravaggio. Con lui avranno successo quelle luci artificiali
in ambienti chiusi che ritroveremo nella pittura di Mathias
Stomer, un nordico innamorato del nostro sole, che scalderà
Palermo con luce delicata. Ed infine, oltre al francese
Trophine Bigot, che si muove nello stesso filone del de La
Tour, ricordiamo Hendrick ter Brugghen, il quale trasfonde la
lezione caravaggesca in una visione cristallina ed onirica e
Giovanni Serodine, pittore ticinese che ha realizzato ad
Ascona i suoi capolavori, bruciati dalla luce a tal punto da
precorrere gli stessi Impressionisti.
fig.6
Una seconda esposizione, sempre nelle eleganti sale di Palazzo
Reale, raccoglie 35 tele, tutte di altissima qualità,
realizzate da seguaci del Caravaggio, ai quali la critica
fatica ancora ad assegnare un nome. Una utile palestra visiva
per gli specialisti, che da tutto il mondo visitano la mostra
ed una chicca insperata anche per il semplice appassionato,
che può provare a trovare un autore a questi splendidi
dipinti ancora anonimi. Il gran numero di seguaci per un
artista che non ebbe allievi diretti è la lampante
dimostrazione della straordinaria grandezza del Caravaggio,
uno dei più grandi artisti del Seicento europeo, la cui
lezione attraversò per alcuni decenni il continente come un
gran fuoco, che seppe incendiare le menti ed i cuori di
centinaia di pittori convertiti al nuovo verbo rivoluzionario.
La visita alla mostra di Caravaggio a Milano costituirà la 14°
tappa dei percorsi dell’associazione Amici delle chiese
napoletane.
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